Mentre scriviamo queste righe, il conto delle vittime è arrivato a 95. Quando le leggerete, sarà forse già a tre cifre, visto il numero dei dispersi. A provocare, a Valencia e dintorni, una delle peggiori alluvioni che la Spagna ricordi, è stata quella che, da quelle parti, chiamano Dana (Depresion aislada en niveles altos) e da noi «goccia fredda»: una massa d’aria in quota, fredda appunto, che si isola e forma una depressione chiusa. Risultato: in 8 ore, è caduta la quantità di pioggia di un anno intero. Con gli effetti che Sara Gandolfi racconta così:
«Centinaia di persone intrappolate dall’acqua all’interno dei veicoli, nei centri commerciali, nelle case di cura, sui tetti o persino aggrappate per ore agli alberi. Oltre 120.000 persone sfollate soltanto nella regione di Valencia. Autostrade chiuse, treni fermi, interi paesi annegati nel fango, senza acqua potabile né elettricità. Il governo ieri ha consigliato di non mettersi in auto nelle province di Cadice, Siviglia, Tarragona e Barcellona».
E i morti, tutti quei morti, anche bambini. La situazione più tragica si è verificata fuori da Valencia e dalle aree urbane, nelle zone vicine ai fiumi esondati. Come a Paiporta, dove i morti sarebbero oltre una trentina. E l’emergenza ora si sposta in Andalusia. «Usate la massima cautela ed evitate viaggi inutili. Non abbassate la guardia», ha detto agli spagnoli il premier Pedro Sánchez, che ha anche proclamato tre giorni di lutto nazionale e promesso: «La Spagna intera piange con voi, non vi lasceremo soli».
L’emergenza è in pieno corso, ci sono assalti ai supermercati nel terrore di rimanere senza cibo e acqua, la macchina della solidarietà si sta mettendo in moto, ma già infuriano le polemiche, per gli allarmi arrivati troppo tardi alla popolazione. Il primo avviso dell’Aemet, l’Agenzia statale di meteorologia spagnola, arriva nella serata di lunedì: un’allerta di livello arancione sulla costa Nord e Sud e nell’interno della provincia di Valencia. Nella prima mattinata di martedì l’allerta diventa rossa. Alle 11.55 di martedì il CHJ, l’ente che gestisce il demanio idraulico del fiume Jucar, segnala lo straripamento del fiume Albaida nella zona intorno a Manuel, un comune a Sud di Valencia. L’esondazione, informa l’ente, è già «considerevole». Ma il presidente della Generalitat Valenciana, Carlos Mazón del Partito popolare (centrodestra), rilascia dichiarazioni rassicuranti: la tempesta, dice, «dovrebbe diminuire d’intensità nel resto della Comunità Valenciana intorno alle 18». E il Centro di coordinamento delle emergenze della Generalitat, che ha il compito di coordinare il lavoro delle diverse amministrazioni, viene convocato solo per le 17. A quell’ora, alcuni villaggi sono già completamente allagati. Secondo il quotidiano Las Provincias, la situazione era già apocalittica prima delle 18, con automobili e altro materiale trascinato via dalle correnti dei fiumi esondati. La Generalitat, però, ha inviato il messaggio di allerta sui cellulari dei residenti, invitandoli a non uscire in strada, soltanto alle 20.15 di sera, undici ore dopo la prima allerta rossa, quando molte strade erano già allagate, e ha aspettato altri 36 minuti prima di chiedere aiuto all’Unità militare di emergenza. Ad aggravare la situazione, la difficoltà a contattare il numero di emergenza 112 — affidato a una società privata — andato quasi subito in tilt per le troppe chiamate nella notte fra martedì e mercoledì.
Sulle polemiche non ha voluto per ora intervenire il governo spagnolo. «Ci sarà tempo per rispondere e fare valutazioni pertinenti, ma non è questo il momento», ha risposto ai giornalisti il ministro delle Politiche territoriali Angel Victor Torres. Perfino la conta delle vittime è un incubo. «La grande incognita in questo momento è quante sono le persone disperse — ha ammesso ieri sera la ministra della Difesa, Margarita Robles, annunciando la mobilitazione di un migliaio di soldati —. Alcune sono intrappolate, ma di molte altre non sappiamo nulla». (Su Corriere.it trovate video, testimonianze — anche di alcuni italiani — e tutti gli aggiornamenti in tempo reale. Qui le immagini di un ponte trascinato via dalla piena del fiume Poyo, a Picanya)
L’altra domanda inevitabile è: quanto c’entrano i cambiamenti climatici con la tragedia spagnola? Enrico Scoccimarro, senior scientist presso il Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti climatici e direttore della divisione sulla «Variabilità e Previsioni climatiche» — che oltretutto è di Forlì ed è stato testimone delle quattro alluvioni dell’ultimo anno e mezzo in Emilia Romagna — spiega: «Oltre al fattore scatenante, in questo caso la “goccia fredda”, sono necessarie altre condizioni favorevoli, come un quantitativo di vapor d’acqua sufficientemente alto, facilitato anche dalle alte temperature dei mari circostanti». In sostanza, fenomeni non certo sconosciuti, come le «gocce fredde», diventano però più intensi a causa del riscaldamento globale. Certo, anche il cemento fa, purtroppo, il suo: «L’impermeabilizzazione del suolo prodotta dall’uomo accelera e convoglia i flussi dell’acqua in superficie e questo si aggiunge all’eventuale effetto causato dal cambiamento climatico».
In ogni caso, conclude Scoccimarro, «dipenderà dal taglio delle emissioni di gas serra nei prossimi decenni, se questo processo potrà essere bloccato o ridotto. Siamo ancora in tempo, ma è necessario implementare rapidamente ciò che gli scienziati, negli ultimi vent’anni, hanno chiaramente definito come necessario per invertire o bloccare la tendenza. Abbiamo speso tante energie, tempo e denaro per definire in che misura il cambiamento climatico si traduce in un aumento delle condizioni estreme sul nostro pianeta e quanto questo può cambiare in diversi scenari futuri. Sarebbe bello vedere che le nostre analisi sfociassero in azioni concrete. Ma qui si entra nella politica, e non è il mio campo».
E da quel campo buone notizie non ne arrivano. Solo un paio di giorni fa, il Rapporto 2024 della Convenzione quadro Onu sui cambiamenti climatici ha denunciato che gli attuali impegni climatici nazionali non sono sufficienti per limitare l’aumento della temperatura media globale a 1,5°C. Anzi: sono molto al di sotto di quanto necessario. E Donald Trump ha già dichiarato che, se sarà rieletto, farà uscire di nuovo gli Usa dall’Accordo di Parigi sul clima.
di LUCA ANGELINI