Doveva essere l’ultima giornata di negoziati della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, a Baku, in Azerbajan. In realtà molto probabilmente gli accordi termineranno sabato. L’uscita della seconda bozza dell’accordo, che sarà definitivo in serata, consente però di tirare già delle somme su quella che è stata chiamata la “Conferenza dei numeri”. Non è stata di certo la COP della svolta. Bensì una rassegna che ha visto una presidenza debole, anche costretta a fare appello al G20, incapace di offrire una sponda autorevole per dare un’accelerata ai negoziati.
L’impressione generale, in tutto il corso della COP, è stata di avere di fronte un lungo incontro interlocutorio, tra l’altro disertato dai maggiori leader internazionali.
La COP29 ha messo in evidenza l’urgenza di agire, ma anche i limiti della cooperazione mondiale in un contesto di crescenti tensioni politiche ed economiche. Un segnale significativo è che dal documento della seconda bozza della COP di Baku, sul contrasto del cambiamento climatico, non è prevista alcuna misura sulla riduzione dell’uso dei combustibili fossili. Il testo infatti presenta solo misure generiche di riduzione delle emissioni attraverso innovazioni tecnologiche e risparmio energetico, compresa la cattura del carbonio.
L’ambizione del negoziato è stata ridotta al minimo e la parte relativa alla finanza climatica è stata estremamente diluita. Secondo Eleonora Cogo, esperta senior di finanza internazionale di Ecco, think tank italiano che ha esaminato il testo, l’obiettivo più grande rimane i 1300 miliardi di aiuti promessi al 2035. La parte più attesa che parla di finanza per i paesi in via di sviluppo si ferma però solo a 250 miliardi. “Ci auguriamo – afferma Cogo – che la presidenza decida di prendersi le prossime 24 ore per lavorare su un testo più ambizioso perché, anche secondo le stime che abbiamo fatto, almeno un obiettivo di 300 miliardi è possibile”. Nella giornata di ieri, il segretario dell’ONU Guterres aveva ammonito i negoziatori che “il fallimento non è un’opzione”. E un tentativo di spartizione delle responsabilità è arrivata dallo stratagemma lessicale a cui si è lavorato per comprendere tra i paesi donatori anche Cina, India, petrostati del Golfo, senza però che questo modifichi gli equilibri e la tassonomia vigente che li classifica tra i Paesi in via di sviluppo.
Alla pubblicazione di questa bozza seguiranno incontri bilaterali che cercheranno di presentare un nuovo testo da portare nell’assemblea plenaria finale. Secondo il funzionamento delle Conferenze delle parti ogni testo deve essere approvato per consenso: non ci devono essere dunque opposizioni. Per Can (Climate Action Network) International, la principale rete di ONG, i 250 miliardi sono “noccioline”, aggiunge che “Non è soltanto uno scherzo ma anche un insulto”. Per l’Independent High-Level Expert Group on Climate Finance il numero “è troppo basso e non coerente con l’attuazione dell’Accordo di Parigi”.
A meno di grandi colpi di scena dell’ultimo momento , il bilancio su questa COP rimane dunque negativo e i contributi per una convinta lotta al cambiamento climatico vengono ancora una volta rimandati a un’altra COP, quella del Brasile dell’anno prossimo. Tra numeri insufficienti, scelte mancate e prese di posizione timide, gli attori in scena stanno progressivamente erodendo la fiducia globale nella capacità della comunità internazionale di affrontare l’emergenza climatica. Se la COP29 sarà ricordata come un’opportunità persa, il vero interrogativo è: quanto tempo ci resta ancora prima che queste occasioni di confronto diventino irrilevanti?
di Marco Camporese