Categorie: Editorial
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“Il giorno in cui si avverano i desideri”, all’esordio inoltrato di Terzo millennio, ormai non coincide più con il Natale – e difficilmente con il proprio matrimonio. O meglio: se ai bambini viene ancora preservata un’area fantastica, dove un tizio vestito di rosso si cala dal camino e lascia regali sotto l’albero, gli adulti invece si sono inventati il Black Friday. Il “Venerdì nero” è la giornata dove i prezzi – di qualsiasi cosa – crollano (forse), e chiunque dotato di potere d’acquisto (eccetto i ricchi, che non ne hanno bisogno) corre nei negozi per comprare, dal necessario all’inutile. Il fatto che sia “Black” non è un incentivo defiscalizzante, ma dovuto alla calca di persone che si ammassano (non con la “zz”) nei locali, pur di strappare la miglior offerta.

Nato come “occasione di ammortamento economico”, negli Stati Uniti, tra il giorno del Ringraziamento (ultimo giovedì di novembre) e il periodo natalizio, il Black Friday ha iniziato a spopolare anche in Italia, nell’ultima decade, diventando un’escalation di promozioni e tam-tam mediatico. Estesosi a una settimana o a un mese di sconti (a discrezione dell’azienda di turno), raggiunge quindi il suo apice nel venerdì successivo al Thanksgiving day: quest’anno, il 29 novembre. E sarà il legame con la scienza della comunicazione, sarà che comunque conviene parlarne nel bene o nel male, fatto sta che Netflix ha pubblicato, nove giorni prima dell’evento, il documentario “BUY NOW! The shopping conspiracy”.

Diretto da Nic Stacey, il documentario investiga sui comportamenti del mercato tramite interviste a persone, perlopiù ex-collaboratori ed ex-collaboratrici, delle grandi multinazionali che governano i meccanismi di vendita e acquisto dei prodotti, e non governano ciò che succede dopo aver utilizzato un oggetto. “BUY NOW!” parla di consumismo e di rifiuti, di (non) responsabilità e di profitti, di riciclaggio (sporco) e di marketing, utilizzando come voce narrante una presunta entità prodotta da Intelligenza Artificiale, di nome Sasha. La voce di Sasha usa la narrazione contro-intuitiva, a favore dei consumatori e alle aziende, per instillare il senso di colpa a chi guarda il documentario, insegnando il metodo migliore per incrementare le vendite in cinque step: “Vendete di più”, “Scartate di più”, “Mentite di più”, “Occultate di più” e “Controllate di più”.

“BUY NOW” non sarà il documentario dell’anno. Il fatto stesso che utilizzi, presumibilmente, una “narratrice” e una serie di immagini provocanti – come il centro di Tokyo che affoga nei rifiuti – prodotti da IA sembra, a uno sguardo già ambientalista, un’incoerenza di fondo e uno spreco di energia; sarebbe bastato lavorare meglio sulla sceneggiatura, per instillare il medesimo senso di colpa, rimanendo ligi alla narrazione di base. Tuttavia, fornisce alcuni spunti di riflessione interessanti per quanto riguarda certe dinamiche date come scontate, in realtà poste come “argomento fantoccio” per distrarre gli acquirenti e incentivare i profitti, senza preoccuparsi dello spreco ambientale.

Il desiderio, innanzitutto, è la narrazione che porta il consumatore ad acquistare, anche se non ha un reale bisogno. La parte interessante della riflessione, in questo caso, è l’utilizzo di due argomenti positivi, come “l’innovazione di un prodotto” e il conseguente “miglioramento”, per generare un effetto negativo. Uno smartphone, per esempio, aggiornato dalla casa produttrice ogni anno, porta il fedele consumatore a cambiare telefono ogni anno, per inseguire un prodotto apparentemente migliore, più performante, e che per lo stesso motivo non ha possibilità di essere riparato, per mantenere una perfezione estetica e funzionale la cui unica alternativa è il “gettar via”. Trattasi di una narrazione insistente sul “miglior prodotto possibile”, che porta a una perpetua innovazione e a una sovraproduzione inutile.

Proprio le parole “gettare via” suggeriscono la seconda riflessione, incentrata soprattutto su quel “via” apparentemente casuale: ma dov’è questo “via”? Cosa significa “via”? In un passaggio del documentario, “via” viene definito con solo tre opzioni: mare, terra, aria. Qualsiasi rifiuto “gettato via” ritorna al pianeta: un materiale plastico si sbriciola, diventando microparticelle che nutrono il terreno. I rifiuti tecnologici vengono spediti nel Terzo Mondo, dove lavoratori sottopagati smantellano i metalli, leggeri e pesanti, inquinandosi e inquinando l’ambiente. Il “gettare via” è diventata una conseguenza indiretta dell’idea del riciclo, ma non per come ci siamo abituati a pensarlo, da consumatori.

Purtroppo, non possiamo essere certi che un’etichetta certificata possa assicurare un materiale, oggetto o imballaggio, sia effettivamente riciclabile. “BUY NOW!” mostra come alcune non plastiche non lo siano; semplicemente, vengono gettate. La narrazione del greenwashing, dove un’azienda si veste di verde o recita tra le righe il suo “rispetto per l’ambiente”, diventa un escamotage di vendita e un palliativo, nonché incentivo, per i compratori, facendo aumentare i profitti, a scapito dell’ambiente. Il tutto si riduce alla responsabilità, vista secondo almeno due aspetti: la responsabilità di preservare il profitto, nel rispetto dei limiti naturali; la responsabilità di pensare alla fine del materiale, alla sua morte nel ciclo dei consumi, per evitare ripercussioni incontrollate e dannose per l’uomo (perché, alla fine, il pianeta sopravviverà, mentre la specie umana un po’ meno).

L’idea che tutto questo pensare possa avvenire nel giro di 24 ore, mentre il mondo dei consumi esploderà di persone all’interno degli store e dei grandi magazzini – o peggio, con un comodo clic da casa – non è un desiderio; è pura utopia. Nel frattempo, l’invenduto verrà semplicemente “gettato via (di nuovo)”, dato che costa meno rispetto a un piano di smaltimento. È utopia pensare a una soluzione ambientale, senza tenere come punto di partenza il concetto di convenienza e di comodità, fondamentali per la vita dell’essere occidentale. Le strade, allora, sono due: estendere le idee di comodità e convenienza nel tempo, rinunciando un po’ al nostro benessere per quello dei nostri successori. Oppure cambiare il paradigma della convenienza, e pensare che, se conviene all’ambiente, converrà (un po’ dopo) anche a noi; in termini di profitto inclusi.

Vi si desidera un buon Black Friday; comprate ora, ma un po’ meno rispetto a ieri, e un po’ di più, comparato a domani.

 

di Damiano Martin