Gli imprenditori e le imprese, nel libero mercato, nella concorrenza e nella trasparenza, sono il grande motore della crescita e dello sviluppo del Paese.
Questo è il nostro punto di partenza, il nostro ruolo sociale in una situazione internazionale mai negli ultimi decenni così instabile e conflittuale. Intanto, dobbiamo lavorare per far crescere le nostre imprese nonostante le difficoltà di una transizione epocale che investe aspetti diversi e decisivi per le persone, ovviamente le aziende e gli stessi soggetti politici e sociali. Mi riferisco alle transizioni energetica, ambientale e digitale che costeranno migliaia di miliardi. Si tratta di vere e proprie rivoluzioni industriali che potranno cambiare in meglio la vita di ciascuno di noi e il futuro delle nostre imprese, ma che necessitano di risorse e gradualità per essere attuate, pena il rischio di perdere interi comparti industriali.
Gli imprenditori vogliono tutelare l’ambiente ma salvaguardando le nostre filiere industriali, filiere che magari hanno già raggiunto qualche anno fa gli obiettivi ambientali fissati dall’Europa per il 2030. Lo hanno fatto investendo sulle proprie tecnologie: per questo, è fondamentale che la nuova Commissione europea adotti il principio della neutralità tecnologica per tutelare l’ambiente, e noi ci batteremo a Bruxelles e a Strasburgo affinché ci siano concessi anche i tempi giusti e le risorse indispensabili alla grande transizione. Altrimenti, se si punta solo sull’elettrico e non si sposta in avanti lo stop al motore endotermico fissato per il 2035, consegneremo alla Cina interi comparti industriali e autentiche eccellenze del nostro Paese.
Ci troviamo dunque in una fase delicatissima, in cui sono in gioco gli interessi generali delle persone, delle famiglie e del lavoro, e per affrontarla concentriamo le nostre energie su tre direttrici fondamentali: competitività, produttività e comunità.
Sulla competitività serve un deciso cambio di passo dell’Europa, rafforzandola e costruendo una solida politica industriale basata su innovazione, neutralità tecnologica e risorse comuni europee. Occorre abbandonare lo spirito antindustriale che ha animato il ciclo politico precedente, creando un ambiente favorevole agli investimenti. Ormai lo diciamo da tempo: senza industria non c’è Europa. Nella sfida della produttività siamo rimasti indietro rispetto all’Europa, e dobbiamo incrementarla, sapendo che è il denominatore di crescita della ricchezza del Paese. C’è bisogno di grande attenzione da parte di tutti gli attori, sociali e politici, per intervenire su quei colli di bottiglia che non permettono di migliorare le condizioni di vita di ciascuno: infrastrutture, logistica, certezza del diritto, semplificazione normativa, mercato unico dell’energia, indipendenza energetica.
Dobbiamo costruire una reindustrializzazione basata sulle tecnologie di punta, sulla produzione di materie prime, sull’applicazione dell’Intelligenza Artificiale, unite ad un’adeguata revisione della politica commerciale e della concorrenza. La tutela dell’industria, della manifattura e della coesione sociale deve andare di pari passo.
Infine, parlando di comunità, vanno ricercate strategie per affrontare questioni sempre più emergenziali quali, ad esempio, il calo demografico, l’invecchiamento della popolazione, il sostegno alla natalità, la carenza di alloggi. Realizzare un Piano Straordinario di Edilizia per i lavoratori neoassunti è la risposta concreta al bisogno primario di una casa a un prezzo sostenibile, per costruire con dignità il proprio futuro.
Gli imprenditori e i lavoratori sono l’Italia che manda avanti l’Italia, abbiamo tanto da fare e lo facciamo con passione, nonostante i lacci e lacciuoli che frenano l’impresa siano rimasti gli stessi di cui parlava Guido Carli molti decenni fa.
di Emanuele Orsini
Presidente Confindustria