Guardo il 2025 come si guarda un campo minato. Ogni passo è una scelta, e ogni scelta può portare alla salvezza o alla distruzione. È un mondo sempre più feroce quello che si staglia all’orizzonte, un mondo che pare divertirsi a sbranare l’essenza dell’essere umano. E mentre il vento delle guerre soffia sempre più forte, il pericolo che mi terrorizza di più è l’indifferenza. Indifferenti ai morti, indifferenti al dolore, indifferenti alla rovina che avanza. Così siamo diventati.
Oggi le guerre nel mondo sono cinquantasei. Dal Sudan all’Ucraina, dal Myanmar alla Palestina, al 2024 ci siamo arrivati con oltre 200.000 cadaveri sfornati dai conflitti e 117 milioni di profughi tra donne, bambini, vecchi, scacciati dalle loro case, gettati in un inferno che nessuno vuole vedere. Ci sono madri che partoriscono lungo strade di polvere, padri che annegano abbracciati ai figli e ci siamo noi, a guardare tutto questo, apatici spettatori di una fiction. Schiavi di uno schermo che mostra orrore senza farlo sentire davvero.
E mentre le guerre divorano l’umanità, il pianeta ci presenta il conto. Nel 2024, più di 100 disastri climatici hanno devastato terre e vite. Tempeste, inondazioni, incendi hanno spazzato via intere aree del nostro pianeta. La terra muore lentamente, desertificata, consumata. La Sicilia evapora, l’Africa si spezza. Ogni minuto si perdono 23 ettari di suolo fertile eppure noi continuiamo a costruire, a scavare, a divorare la terra come parassiti affamati.
Nel frattempo, l’intelligenza artificiale avanza, fredda e perfetta. Promette progresso, sì, ma a quale prezzo? Tra cinque anni, le macchine potrebbero cancellare fino a 300 milioni di posti di lavoro. E non stiamo parlando di fantascienza ma di numeri reali. Si tratta di operai, impiegati, insegnanti, giornalisti, tutti sostituiti da algoritmi senza volto. Peccato che con ogni lavoro perso si perda anche un pezzo di identità, di quella dignità che fa di noi esseri umani e non ingranaggi.
L’Europa è sterile come un ventre esausto. Ogni anno si fanno sempre meno figli: in Italia, il tasso di natalità è crollato a 1,2 figli per donna. Una civiltà che non fa più figli è una civiltà che sta firmando il proprio suicidio. Lo chiamano “inverno demografico”. Io preferisco dire “morte annunciata”. Un continente di vecchi, di memorie sbiadite, senza futuro né eredi. E mentre noi invecchiamo e chiudiamo le porte ai migranti, pretendiamo di restare eterni. Che sciocchezza.
Allora, cosa rimane? Una parola sola: umanità. Restare umani quando tutto intorno urla di smettere di esserlo. Significa guardare il migrante non come un invasore, ma come un uomo che fugge dalla stessa disperazione che un giorno potrebbe toccare a noi. Significa riconoscere che dietro una guerra c’è sempre una madre che piange un figlio morto. Significa fermarsi, respirare, e pensare a chi verrà dopo di noi, chiedendoci se davvero merita il mondo in rovina che gli stiamo lasciando.
Restare umani è l’unico atto di resistenza che ci rimane. Un atto di ribellione contro la disumanità di un futuro fatto di macchine senza cuore, di terre senza vita, di popoli senza speranza. Non possiamo arrenderci. Perché se perdiamo l’umanità, perdiamo tutto. E a quel punto, saremo solo ombre che si aggirano su un pianeta morente, senza sapere più chi siamo e perché siamo qui.
di Isabella Zotti Minici