Non è la prima volta che lo scriviamo: la sostenibilità ha senso solo se trasformata in vero e proprio modello di business innovativo, duraturo e come tale profittevole per tutti gli ecosistemi con cui entra in contatto (aziendale, sociale…) nel lungo termine, essendo gli stessi interconnessi tra loro. I suoi effetti positivi sulla reputazione di marca e la relazione con i consumatori sono una conseguenza di questo più ampio approccio, ma non solo: un aspetto che sta infatti sempre più emergendo è come la “green work culture” sia elemento centrale della capacità di attrarre talenti, coinvolgerli e dunque trattenerli.
Secondo uno studio condotto dalla National Environmental Education Foundation ben 9 dipendenti su 10 (90%) sono più soddisfatti e felici se coinvolti nelle iniziative “verdi” messe in campo dalla propria organizzazione. Stando poi a quanto indicato dal Green Business Bureau, i progetti sostenibili migliorano il morale dei dipendenti che, di conseguenza, risultano anche più motivati e tendono ad essere più fedeli. Quasi la metà dei millennial, poi, si dice disposta ad accettare uno stipendio più basso per poter lavorare all’interno di un’impresa leader nella sostenibilità secondo un’indagine di Espresso Communication per Great Place To Work Italia.
Da un lato si tratta di coinvolgere in vere e proprie iniziative extra, come la collaborazione con enti e realtà benefiche del territorio locale, dall’altro di guidare e premiare i comportamenti stessi dei lavoratori, per arrivare infine all’assunzione di figure dedicate e a un più ampio “onboarding” collettivo negli impegni dell’azienda sul tema, che si possono stabilire in alcuni casi con la partecipazione di tutti. Per citare alcuni esempi concreti di attività a iniziative specifiche che contribuiscono alla creazione (e narrazione coinvolgente) di una green work culture: il “biking to work”, ovvero il mettere a disposizione dei propri collaboratori delle biciclette per i vari spostamenti, riducendo l’inquinamento e motivando anche all’attività fisica; la creazione di spazi e stanze rilassanti all’interno del workplace (azione sull’inquinamento acustico); la promozione del verde in ufficio; l’organizzazione di sfide a tema con rewarding (quelle alimentari “plant based” e così via); ma anche lo sviluppo di un team interno di eco-ambasciatori/green influencer e così via.
“La green work culture non è una tendenza passeggera, bensì qualcosa per cui ogni azienda e ogni dipendente dovrà impegnarsi sempre più in prima persona“, sottolinea Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place To Work Italia: “Le aziende, di fronte alla domanda di esg, saranno sempre più invitate e spinte dai loro stessi dipendenti, in particolare millennial e zeta, a riqualificarsi, aumentando laformazione sulla sostenibilità e sugli obiettivi di sviluppo e crescita green. Già oggi il 90% dei dipendenti delle migliori aziende per cui lavorare nel 2022, da noi classificate, dichiarano di apprezzare il modo in cui le loro organizzazioni contribuiscono al benessere delle comunità circostanti. Lo sviluppo di una cultura green e sostenibile avrà effetti diretti non solo su benessere, grado di soddisfazione, produttività e coinvolgimento dei dipendenti, ma aiuterà le aziende ad accrescere il proprio fatturatoe posizionamentosul mercato”.
Il Rapporto GreenItaly 2021 conferma che entro il 2025 il 38% del fabbisogno di professioni richiederà delle competenze in sostenibilità, con un bacino potenziale di oltre 1,3 milioni di occupati. La Lombardia, in questo senso, figura come regione più “green job oriented” d’Italia sia per il numero di occupati (709mila), sia per il numero di imprese eco-investitrici presenti sul suo territorio (quasi 90mila).
Quello che emerge nel complesso, in sintesi, è una nuova necessaria sintonia tra fronti diversi: quello della formazione con quello dell’impiego, ma anche quello dei dipendenti con quello delle aziende lato valori e cultura del lavoro. Una sfida che con la “great resignation” è emersa più forte che mai.
Fonte: mark-up.it