Che giovani sono quelli che si stanno affacciando alla vita adulta negli anni della pandemia, della guerra, del cambiamento climatico? Quei giovani che negli anni del Covid hanno sorpreso un po’ tutti, dando vita al fenomeno della great resignation (l’aumento delle dimissioni volontarie anche da posizioni lavorative interessanti)? Che sono capaci di stare anni senza né lavorare né studiare (3 milioni in Italia, record assoluto) e che hanno ormai spostato ben oltre i 30 anni la decisione di diventare genitori?
Il primo elemento ruota attorno all’idea di «stare bene con sé stessi», cioè accettarsi per quello che si è, con le proprie specificità e i propri limiti, ma anche saper godere di giornate «equilibrate» tra impegno e relax, tra vita lavorativa e vita privata. Si cerca di evitare l’eccesso di stress e di approcciarsi all’esercizio fisico e all’alimentazione con consapevolezza. Uno stile di vita sostenibile è dunque al centro delle sensibilità dei giovani di oggi, anche se per molti si tratta di un’aspirazione che fatica a tradursi in realtà. La grande maggioranza degli intervistati dichiara infatti di tendere a questo modello di vita, senza però riuscire pienamente a farlo proprio, per mancanza di risorse e strumenti, e più in generale per l’indisponibilità del mondo adulto a riconoscere queste nuove domande. Lo slancio verso il cambiamento rischia così di trasformarsi in frustrazione, con la tentazione di ritagliarsi un piccolo spazio di sopravvivenza, se non addirittura di ritirarsi dal mondo.
A questa prima linea di tensione si associa una concezione quasi mai lineare o evolutiva del tempo, vissuto piuttosto come un collage di situazioni ed esperienze. Il racconto della felicità è sempre ancorato a momenti che divengono straordinari, perché associati a un perfetto equilibrio psico-fisico. In questa prospettiva, la felicità non è legata al raggiungimento di un obiettivo, a un percorso, a uno sforzo, a un ideale. Piuttosto l’attenzione è sulle piccole cose, capaci di garantire un benessere immediato e di tradursi in momenti di «ordinaria felicità»: una cena in famiglia, una gita con gli amici o un pomeriggio di tranquillità. L’aspirazione di molti è quella modellare la quotidianità in modo da ridurre lo stress e fronteggiare in maniera efficace le criticità legate al perdurare dello stato di crisi economica, sociale e sanitaria in cui molti si trovano immersi.
Il mantenimento e la valorizzazione dei rapporti familiari rimangono centrali, pur se ridefiniti. La famiglia, cioè, continua a rappresentare la rete capace di «tenere insieme» il presente e il futuro. Ma il termine famiglia perde la sua tradizionale connotazione istituzionale per identificarsi con l’insieme delle relazioni e degli spazi di vicinanza capaci di comunicare protezione e stabilità. Lungo tre direttrici diverse: la famiglia di origine, che continua a rappresentare il «nido», il luogo in cui poter sempre «tornare in caso di necessità»; quella elettiva – l’aspirazione alla vita di coppia e alle genitorialità rimane elevata: 3 giovani su 4 desiderano avere un figlio nei prossimi 10 anni e sono decisamente proiettati all’interno di una vita di coppia stabile; la famiglia allargata, fatta dagli amici di sempre e dagli affetti della quotidianità, su cui si sa di poter contare.
L’ultima dimensione è quella del lavoro che solo per una minoranza (1 intervistato su 5) è determinante per l’identità e la soddisfazione personali. Per la gran parte dei giovani, il lavoro non ha più la centralità che aveva in passato. Ugualmente rilavate è il fatto che, nella scelta di un lavoro, la retribuzione sia solo una degli elementi presi in considerazione: ciò che si ricerca è un ambiente motivante e grado di garantire un buon equilibrio tra vita lavorativa ed extralavorativa, lasciando spazio anche alle proprie passioni personali, a cui anche in età adulta si è difficilmente disposti a rinunciare. A fare la differenza è anche la possibilità di inserirsi in un team che riconosca e apprezzi le capacità personali e che possa perciò lasciare sperare in un percorso di crescita professionale e umano.
In conclusione, le nuove generazioni sono alla ricerca di un equilibrio migliore tra le diverse dimensioni esistenziali, attratte da uno stile di vita capace di garantire stabilità organizzativa ed emotiva. Con il desiderio di «staccarsi» da lavori troppo invasivi, da realtà relazionali considerate «tossiche», da contesti abitativi che impongono stili di vita eccessivamente faticosi o troppo schiacciati sulla dimensioni strumentale. In una parola, i giovani di oggi aspirano a una vita più sostenibile, nel quadro di un cambiamento più generale dei valori di riferimento. Un’aspirazione a cui il mondo adulto non sempre sa dare il giusto peso, ma per la quale molti ragazzi non sembrano neppure disposti a combattere. Col rischio di una banalizzazione delle istanze di cambiamento di cui sono portatori, che finiscono per ridursi alla difesa di quella comfort zone garantita da condizioni di contesto (la famiglia in primis, oltre che le diverse forme di protezione statale dall’altro). Così, la nuova saggezza, che affascina tanti ragazzi, spesso si risolve in un pallido adattamento che, volendo evitare lo stress, il conflitto e l’impegno, tiene molti bloccati in un rassegnato ripiegamento.
Di Mauro Magatti e Sara Sampietro
Fonte: ilcorriere.it