Categorie: Editorial
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Quando “nome comune di cosa” si fa “nome proprio di evento”, significa che nel mentre, nel tempo di passaggio, qualcosa è successo. Cura, interesse, fama e prestigio, nel corso di 94 anni, hanno portato una mostra del cinema a diventare la Mostra, Internazionale d’Arte Cinematografica. Da Beetlejuice Beetlejuice – di un Tim Burton ceduto alle correnti remake-sequel – a L’orto americano di Pupi Avati: la Mostra del Cinema di Venezia si apre e si chiude da gotico a gotico, dal fanta all’horror storico, in quell’arco temporale di undici giorni – dal 28 agosto al 7 settembre – in cui il mondo si proietterà sul Lido, tra i lustrini del tappeto rosso e le storie, tragiche, intrise di dramma, dell’81° rassegna veneziana.

Uno spaccato cinematografico, prima di tutto, in cui la settima arte si trova incastrata tra il caotico mondo dei telefoni intelligenti, il cui schermo vuole la reattività, la soglia di attenzione minima, la realtà quotidiana e mordente di una ripresa rubata, e il ritorno delle lunghe pellicole di oltre tre ore, dei film formato seriale, episodico, dove le sceneggiature si stendono e si estendono, aggrappandosi alla complessità della storia, al suo intreccio, alle sfumature e alle complicate sfaccettature della vita. Nel mezzo delle antitesi, resiste il canone filmico, tra i 90 e 120 minuti; su questo treppiede filmico la Mostra sfida il suo mondo e i suoi spettatori a seguirla, a mostrare la società per come è e per come appare.

Il cinema è sempre stato una formidabile occasione, in generale, di riflessione e rispecchiamento dei temi afferenti all’umano e, in particolare, uno specchio dei problemi della contemporaneità, una finestra spalancata sui conflitti continui, le irrisolte contraddizioni”, sono le parole del direttore Alberto Barbera. Contraddizioni che si esprimono in sbilanciamenti, in opposizioni e contrasti forti, dove situazioni e contesti diventano insostenibili. Ecco: sostenere. Non solo l’ambiente, anche le persone e la società in genere. Società che, nel momento in cui ogni cellula dimentica il suo ruolo di sostentamento verso gli altri, di supporto (e di sopportazione, talvolta), cede alla violenza, agli animi esacerbati, alla banalità dell’odio e dell’incomprensione verso il diverso.

Come ogni altra forma d’arte, che si certifica in quanto tale, la Mostra del Cinema di Venezia 2024 si caratterizza per le tematiche storiche, a richiamare un passato ridondante, quasi assordante e fin troppo muto per alcuni, incapaci di sentire, per cercare di rimediare ai tempi difficili, insostenibile, che stiamo attraversando. Ne sono casi emblematici il già citato film in chiusura L’orto americano di Avati, come The Brutalist di Brady Corbet, Campo di battaglia di Gianni Amelio, Vermiglio di Maura Delpero: storie di guerra – Prima e Seconda – di fazioni contrapposte, di estremizzazioni e di assolutismi totalitari. Storie già scritte e sentite, eppure siamo ancora qua, ad aver bisogno di ripeterci cosa sia la divisione, cosa questa possa implicare.

Dalla Storia alle storie, dalla politica ai contesti familiari e di genere. A preparare la guerra è la politica, che quando abdica ai suoi doveri sociali degenera nell’inedia, nell’omertosa tragicità dei singoli individui e delle collettività poi. Il tema rientra nelle narrazioni portate a schermo dalle sparizioni di Ainda estou aquì (Walter Salles), nella mafia di Iddu – L’ultimo padrino (Fabio Grassadonia e Antonio Piazza), nell’estermismo di destra di Jouer avec le feu (Delphine e Muriel Coulin), di The Order (Justin Kurzel), nelle “dinamiche paesane” inglesi di The Harvest (Athina Rachel Tsangari).

Questione di pulsioni umane, sociali e ancestrali, che si rispecchiano poi nella vita privata di ognuno, spesso nella sessualità: altro tema toccante, tra la prima pellicola in inglese di Pedro Almodovar (The Room Next Door) e il nuovo film di Luca Guadagnino, che dopo l’erotismo di Challengers si avventura nel mondo Queer, tra beat generation e omosessualità. Erotismo, tra potere e occasione, ci sarà anche in Babygirl (Halina Reijn), nella storia della rivista italiano Diva Futura (Giulia Louise Steigerwalt) e probabilmente anche nel folle sequel diretto da Todd Phillips Joker: Folie a Deux, che vede come protagonisti Joaquin Phoenix e Lady Gaga, di ritorno a Venezia e sul grande schermo con il ruolo di Harley Quinn.

Grandi film significa grandi ospiti, a partire dai Leoni d’oro alla carriera con i quali verranno celebrati il regista Peter Weir (L’attimo fuggente, The Truman show) e l’attrice Sigourney Weaver. Tra i tantissimi – a sottolineare l’importanza non solo cinematografica, ma anche pop e popolare del festival – a sfilare sul tappeto rosso vi saranno Nicole Kidman, Angelina Jolie – protagonista del biopic su Maria Callas – Jude Law e Adrien Brody, Brad Pitt e George Clooney, Daniel Craig, Michael Keaton, Willem Dafoe, Tilda Swinton, Julianne Moore, John Turturro, Guy Pierce, Antonio Banderas. Il vessillo italiano sarà tenuto in alto – oltre ai già citati registi – da Pierfrancesco Favino, Alba Rohrwacher, Alessandro Borghi, Luca Marinelli, Toni Servillo e Elio Germano, Pietro Castellitto.

Chi assegnerà il Leono d’Oro 2024 per il miglior film della mostra? Ovviamente, la giuria internazionale presieduta dall’attrice francese Isabelle Huppert, con altri nove tra colleghi e registi (questo per la sezione principale del concorso). Appuntamento a sabato 7 settembre, dunque, e nei giorni precedenti, per osservare il mondo, dal Lido, tramite la nobile arte cinematografica: per cercare risposte sostenibili, alle domande di un mondo difficile.

di Damiano Martin