Dopo il clima, l’attenzione dei leader mondiali si concentra sulla biodiversità. Dopo due anni di ritardi a causa della pandemia, dal 7 al 19 dicembre a Montreal, in Canada, i governi di tutto il mondo si riuniranno in occasione della COP15 per concordare una nuova serie di obiettivi che guideranno l’azione globale fino al 2030 per arrestare e invertire la perdita di biodiversità.
La natura, infatti, è fondamentale per raggiungere gli Obiettivi di sviluppo sostenibile e limitare il riscaldamento globale a 1,5 gradi come previsto dall’Accordo di Parigi. L’adozione di un quadro coraggioso per la biodiversità globale che affronti i principali fattori di perdita della natura è necessaria per garantire la salute e il benessere di tutte le specie viventi e del pianeta.
Sebbene sembri simile alla COP27, la recente Conferenza delle Nazioni Unite sul clima tenutasi a Sharm El-Sheikh, i due incontri si concentrano su questioni diverse, sebbene correlate. La COP27 ha affrontato le azioni previste dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici per ridurre le emissioni di gas serra e adattarsi a questi cambiamenti. La COP15, invece, si concentra sulla tutela del mondo vivente.
La prima parte della conferenza delle Nazioni Unite sulla biodiversità (COP15) si è svolta a Kunming dall’11 al 15 ottobre 2021, dove le parti interessate hanno riaffermato il loro impegno a raggiungere la visione 2050 di “vivere in armonia con la natura, adottando la Dichiarazione di Kunming”. La seconda parte della COP15 si svolge ora a Montreal, dove le parti si incontreranno per concludere i negoziati e definire un nuovo quadro globale per la biodiversità post-2020.
a dove si parte
Al Vertice sulla Terra del 1992 a Rio de Janeiro, i leader mondiali hanno concordato una strategia globale di sviluppo sostenibile: soddisfare le esigenze dell’uomo, garantendo al contempo un mondo sano e vitale da lasciare alle generazioni future. Uno dei principali accordi adottati a Rio è stata la Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), aperta alla firma il 5 Giugno 1992 ed entrata in vigore nel 1993. Ad oggi, sono 193 i Paesi che l’hanno sottoscritta.
La CBD è un trattato internazionale giuridicamente vincolante con tre principali obiettivi: conservazione della biodiversità, uso sostenibile della biodiversità, giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche. Il suo obiettivo generale è quello di incoraggiare azioni che porteranno ad un futuro sostenibile.
La Convenzione copre la biodiversità a tutti i livelli: ecosistemi, specie e risorse genetiche, ed anche le biotecnologie, attraverso il Protocollo di Cartagena sulla Biosicurezza. In realtà, si estende a tutti i possibili domini che sono direttamente o indirettamente legati alla biodiversità e al suo ruolo nello sviluppo, che va dalla scienza, alla politica e all’educazione fino all’agricoltura, al commercio e alla cultura.
L’organo di governo della Convenzione sulla Diversità Biologica è la Conferenza delle Parti (COP). Questa autorità, composta da tutti i governi che hanno ratificato il Trattato, si riunisce ogni due anni per esaminare i progressi compiuti, definire le priorità e impegnarsi in piani di lavoro.
Nell’aprile 2002, le Parti della Convenzione hanno messo a punto un Piano Strategico al fine di orientare la sua ulteriore attuazione a livello nazionale, regionale e globale, e si sono impegnate a raggiungere entro il 2010 una riduzione significativa del tasso attuale di perdita della biodiversità, in modo da assicurare la continuità dei suoi usi vantaggiosi. Questo obiettivo è stato poi approvato dal Vertice Mondiale sullo Sviluppo Sostenibile e dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ed è stato accolto dapprima come un nuovo obiettivo nel quadro dei Millennium Development Goals e in seguito come SDG.
In occasione della decima riunione a Nagoya tenutasi in Giappone nel 2010, la COP dedicata alla biodiversità ha adottato un nuovo Piano Strategico con nuovi obiettivi per il periodo post-2010, tra cui il dimezzamento della perdita di habitat naturali e l’attuazione di piani per il consumo e la produzione sostenibili. Tuttavia, la maggior parte degli obiettivi non è ancora stata raggiunta soprattutto per problemi relativi alle difficoltà di misurare i progressi fatti.
Perché la conferenza di quest’anno è così importante?
La COP sulla biodiversità, sebbene si svolga ogni due anni, quest’anno è particolarmente importante perché i Paesi convenuti cercano di spingersi più in là tramite l’adozione di un nuovo quadro globale sulla biodiversità. Il Post-2020 Global Biodiversity Framework sarà il primo quadro sulla biodiversità adottato a dodici anni di distanza dagli Aichi Biodiversity Targets di Nagoya.
Agire per affrontare la perdita di biodiversità non è mai stato così urgente. Il pianeta sta vivendo un pericoloso declino della natura a causa dell’attività umana. Secondo l’ONU, si sta verificando la più grande perdita di vite umane dai tempi dei dinosauri e 1 milione di specie vegetali e animali sono oggi minacciate di estinzione.
L’esistenza dell’umanità si basa sulla presenza di aria pulita, cibo e un clima abitabile, tutti elementi regolati dal mondo naturale. Un pianeta sano, inoltre, oltre a garantire la vita, è anche una condizione necessaria per le economie resilienti. Più della metà del PIL mondiale – pari a 41.700 miliardi di dollari – dipende da ecosistemi sani.
Gli ecosistemi sani sono fondamentali anche per raggiungere gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile e limitare il riscaldamento globale, eppure è probabile che il cambiamento climatico diventi uno dei principali fattori di perdita della biodiversità entro la fine del secolo.
Dunque, l’accordo storico volto ad arrestare e invertire la perdita di natura che si vuole raggiungere alla COP15 dovrebbe rappresentare un punto di svolta perché si tratterà essenzialmente di un piano globale per salvare la biodiversità in diminuzione del pianeta che i Paesi avranno come riferimento da oggi al 2030.
Gli obiettivi della COP15
Sebbene la bozza dell’accordo comprenda più di 20 obiettivi specifici, i principali target che i 193 Paesi partecipanti si impegnano a raggiungere riguardano le seguenti azioni:
- L’adozione di un quadro di riferimento equo e completo, accompagnato dalle risorse necessarie per la sua attuazione;
- La definizione di obiettivi chiari per affrontare lo sfruttamento eccessivo, l’inquinamento, la frammentazione e le pratiche agricole non sostenibili;
- Un piano che salvaguardi i diritti delle popolazioni indigene e riconosca il loro contributo come custodi della natura;
- L’erogazione di finanziamenti per la biodiversità e l’allineamento dei flussi finanziari con la natura, per indirizzare le finanze verso investimenti sostenibili e lontani da quelli dannosi per l’ambiente;
- Raggiungere il ripristino naturale entro la metà del secolo.
Infine, uno degli obiettivi più eclatanti e contestati, e che merita quindi una particolare menzione, è l’impegno a conservare almeno il 30% della terra e dell’acqua del pianeta entro il 2030. È il cosiddetto obbiettivo “30 by 30”. Proposto da un articolo del 2019 pubblicato su Science Advances A Global Deal for Nature: Guiding principles, milestones, and targets, evidenzia la necessità di ampliare gli sforzi di conservazione della natura per mitigare i cambiamenti climatici. L’iniziativa è stata poi lanciata dalla High Ambition Coalition for Nature and People nel 2020 e più di 100 nazioni vi hanno aderito entro l’ottobre 2022.
Le questioni chiave della COP15
La posta in gioco non potrebbe essere più alta a Montreal. Molte questioni saranno negoziate e la bozza del quadro comprende oltre 20 obiettivi specifici, tra cui proposte per ridurre l’uso dei pesticidi, affrontare il problema delle specie invasive, riformare o eliminare i sussidi dannosi per l’ambiente e aumentare i finanziamenti per la natura da fonti pubbliche e private.
Il quadro dovrà essere ambizioso, ma anche concreto se si vogliono compiere reali progressi e dovrà affrontare i cinque principali fattori diretti della perdita di natura: il cambiamento dell’uso del mare e della terra, l’eccessivo sfruttamento degli organismi, il cambiamento climatico, l’inquinamento e le specie invasive non autoctone e le loro cause sottostanti, come il consumo e la produzione non sostenibili.
La frammentazione e i cambiamenti di destinazione d’uso del territorio – guidati dall’agricoltura e dall’espansione urbana – sono alla base dell’80% della perdita di biodiversità in molte aree, per cui è fondamentale affrontare questo problema.
È inoltre importante che le soluzioni raggiunte alla COP15 coinvolgano tutta la società, dal settore finanziario e imprenditoriale ai governi, alle ONG e alla società civile. La partecipazione delle popolazioni indigene e delle comunità locali ai processi decisionali relativi alla natura e il riconoscimento dei loro diritti alla terra sono particolarmente rilevanti.
È previsto che si raggiungano accordi sui finanziamenti, compreso quanto i Paesi ricchi sosterranno i Paesi in via di sviluppo per finanziare la conservazione della biodiversità, nonché sull’accesso e la condivisione dei benefici, in particolare per quanto riguarda l’uso dei dati derivati dalle risorse genetiche.
L’accesso e la condivisione dei benefici si riferiscono alle modalità di accesso alle risorse genetiche e alla ripartizione dei benefici derivanti da tale utilizzo tra gli utenti (come le aziende biotecnologiche) e i fornitori (i Paesi e le comunità ricche di biodiversità). Questo tema è fondamentale per garantire che tutti possano beneficiare delle risorse naturali, e non solo un numero limitato di aziende, soprattutto nel Nord del mondo.
Chi parteciperà
Sono 15.723 le persone che si sono registrate per partecipare di persona al Vertice sulla biodiversità ospitato a Montreal ma presieduto dalla Cina. Tra i partecipanti vi sono per lo più rappresentati governativi, membri di ONG e giornalisti.
L’unico leader governativo che dovrebbe partecipare è il Primo Ministro Justin Trudeau, mentre la Cina sarà rappresentata dal suo ministro dell’Ambiente e presidente della COP 15 Huang Runqiu. Tradizionalmente, i leader mondiali non partecipano ai vertici sulla biodiversità, ma inviano rappresentanti ministeriali ai negoziati. Non è necessario, quindi, che i capi di Stato partecipino, sebbene sia comunque auspicabile che diano un segnale di impegno nel processo.
Le sfide
Recentemente, il rapporto di valutazione globale sulla biodiversità dell’IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services) e il contributo pubblicato al sesto rapporto di valutazione dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) hanno sottolineato che il mondo ha una breve finestra che si sta rapidamente chiudendo per garantire un futuro vivibile. Per questo, sono necessarie azioni urgenti per il ripristino degli ecosistemi degradati, entro il prossimo decennio, per mitigare gli impatti del cambiamento climatico, in particolare ripristinando le zone umide e i fiumi degradati, le foreste e gli ecosistemi agricoli.
Tuttavia, nonostante l’urgenza e le ambizioni della COP15, vi sono diverse sfide che potrebbero rallentare e ostacolare i progressi futuri. Le principali questioni riguardano la solita preoccupazione su chi deve pagare – argomento che sta particolarmente a cuore alle nazioni più povere e alle comunità indigene che ospitano la maggior parte della biodiversità rimanente nel mondo – e come tradurre l’ambizione globale in obiettivi e piani d’azione nazionali.
Ma vi sono anche altre sfide da non sottovalutare: ad esempio, come colmare il deficit di finanziamento annuale di 700 miliardi di dollari per affrontare la perdita di biodiversità, anche con contributi più consistenti da parte delle imprese, come richiedere ai governi di tenere conto della biodiversità nella progettazione delle politiche e alle imprese (è la prima volta che un accordo globale sulla biodiversità potrebbe includere esplicitamente il ruolo delle imprese come parte della soluzione) di iniziare a segnalare i rischi e le dipendenze legate alla biodiversità.
Inoltre, una debolezza caratteristica delle problematiche legate alla biodiversità è che è difficile misurare i target e i progressi raggiunti, non essendo disponibili unità di misura specifiche come, ad esempio, nel caso della riduzione delle emissioni.
Un’altra questione spinosa è l’obiettivo di ridurre gli impatti dannosi sulla natura da parte di tutti i governi e le imprese, dal momento che questo potrebbe colpire importanti interessi nazionali.
Si stima che ogni anno dovrebbero essere spesi 700 miliardi di dollari per tutelare la biodiversità, ma negli ultimi anni gli investimenti globali per la biodiversità sono stati di soli 150 miliardi di dollari. Questo si traduce in un importante gap finanziario, che sicuramente potrebbe essere in parte colmato se le imprese si impegnassero davvero per contribuire alla tutela della natura.
Certamente, accanto alle aziende, è necessario che si battano i governi, che devono farsi carico di una parte consistente di questo gap. Ad oggi, però, la maggior parte dei Paesi non ha stanziato fondi destinati alla biodiversità, ad eccezione di alcuni casi positivi come la Germania.
L’insieme di questi aspetti rende impegnativi i negoziati delle prossime due settimane e, secondo un’analisi di BloombergNEF, c’è solo il 50 per cento di possibilità che Montreal riesca a raggiungere l’equivalente sulla biodiversità dell’Accordo di Parigi. Ciononostante, secondo l’analisi, le possibilità di raggiungere un accordo sull’obiettivo “30 by 30” sono più alte, con un punteggio di 7/10, mentre l’obbligo di rendicontazione e l’obiettivo generale di gestire la natura in modo sostenibile hanno un punteggio di 6/10.
Fonte: https://esgnews.it/environmental/cop15-cose/