A causa delle calamità i Paesi a reddito medio-basso hanno perso fino al 15% del loro Pil agricolo.
Caro direttore, negli ultimi 30 anni la produzione agricola mondiale ha subito perdite per un valore stimato di 3.800 miliardi di dollari a causa di eventi calamitosi, pari a una perdita media di 123 miliardi di dollari all’anno, ovvero il 5% del prodotto interno lordo agricolo globale. In un rapporto presentato recentemente dalla Fao, per la prima volta, si stima l’impatto globale delle calamità naturali sui sistemi agricoli e alimentari. Sono cifre impressionanti che rivelano come proprio questi sistemi siano il crocevia più delicato del nostro rapporto con la crisi climatica in atto.
I riflessi di questi eventi sconvolgenti sulla sicurezza alimentare sono immediati, soprattutto per i Paesi più fragili. È stato calcolato che le calamità hanno inflitto le maggiori perdite collaterali ai Paesi a reddito medio-basso, fino al 15% del loro Pil agricolo totale. Se si analizza poi l’impatto per settori strategici, impressiona la stima delle perdite trentennali di cereali — con una media di 69 milioni di tonnellate all’anno — pari all’intera produzione cerealicola annuale della Francia. O dei prodotti ortofrutticoli, dove le perdite corrispondono per esempio all’intera produzione annuale di Giappone e Vietnam. Oppure del settore zootecnico, dove si stimano perdite medie di 16 milioni di tonnellate all’anno, l’equivalente dell’intera produzione del settore di realtà come Messico e India.
Gli eventi calamitosi in tutto il mondo sono aumentati dai 100 all’anno registrati negli anni ‘70 ai circa 400 all’anno nelle ultime due decadi: aumentano non solo in termini di frequenza, intensità e complessità, ma peggiorano i loro effetti sociali e ambientali.
Ecco perché occorrono ovunque nuove strategie immediate d’intervento almeno su tre fronti: migliorare l’analisi dei dati e delle informazioni sugli effetti delle catastrofi nei diversi settori agricoli e alimentari, incrementare gli investimenti nella tenuta dei sistemi rurali, sviluppare approcci multisettoriali e multirischio per la riduzione del rischio anche attraverso nuovi strumenti assicurativi capaci di aiutare prima di tutto le piccole e medie realtà. Tutto ciò coinvolge anche il nostro Paese con la sua delicata peculiarità territoriale al centro dell’area mediterranea. Ancora in queste ore purtroppo dobbiamo fare i conti con gli effetti drammatici di questi fenomeni che devastano interi territori e colpiscono al cuore molte comunità locali.
In Italia, quasi il 30% dei terreni coltivabili è andato perso negli ultimi 25 anni e dunque la tutela e la messa in sicurezza del territorio è diventata una condizione indispensabile a ogni latitudine. A partire dalla cura dei sistemi idrografici e dalla protezione dei suoli naturali, per cui anche interventi normativi uniformi di carattere nazionale sarebbero quanto mai urgenti.
Tra pochi giorni a Dubai si terrà la prossima Cop 28, la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Si attendono passi avanti operativi sulle azioni indispensabili di mitigazione e adattamento alla crisi climatica che riguarda il mondo intero, senza alcun impossibile confine o barriera. Ai Paesi più sviluppati tocca giustamente una responsabilità superiore che non può essere tradita. In tempi complessi come quelli che stiamo vivendo, serve un impegno tenace per essere all’altezza di questo cambiamento che non ammette titubanze e scorciatoie.
È una sfida che contiene anche grandi potenzialità e non è impossibile questo scatto in avanti, ma occorre volerlo. E quanto sarebbe straordinario, proprio ora, un segnale positivo nella direzione giusta.
Vicedirettore generale Fao
di Maurizio Martina