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Da qualche settimana l’Italia è avvolta dall’abbraccio infernale dell’anticiclone africano, che fa salire il mercurio alle zone del termometro che più ci fanno soffrire. Ma oltre alle difficoltà fisiche e sociali del caldo si aggiungono quelle economiche. L’effetto domino delle ondate di calore infatti colpisce anche il potere d’acquisto degli italiani, con prezzi dei prodotti di uso quotidiano (e di stagione) in costante aumento.
Cos’è l’inflazione climatica?
Potremmo definirla la versione estiva dell’inflazione ordinaria o carovita, cioè quel fenomeno economico che consiste in un aumento dei prezzi unito a una contestuale perdita del potere d’acquisto delle persone.Una situazione quindi in cui il valore dei soldi che possiedo si riduce sempre di più rispetto ai prezzi dei prodotti, con la conseguenza che potrò acquistarne progressivamente di meno rispetto a un periodo con un’inflazione più bassa. L’inflazione in genere può essere segno di buona salute di un Paese, ma nella maggior parte dei casi se ne sente parlare in relazione a diverse cause negative come eventi pandemici, guerre e controversie commerciali che rendono maggiormente difficile l’accaparramento delle risorse che servono alle imprese, rendendo quelle poche rimaste sul mercato rare e quindi molto più costose, con inevitabili ripercussioni sul prezzo finale del prodotto.
In che modo agisce il cambiamento climatico?
Proprio qui entra in gioco il clima, che si affianca sempre di più fra le cause scatenanti dell’aumento generalizzato dei prezzi. Immaginiamo per esempio una zona di campagna dove si produce un particolare tipo di frutto, e una violenta e improvvisa alluvione che travolge metà del raccolto dell’anno. Un evento di questo tipo rappresenta una perdita notevole per l’imprenditore agricolo, che sarà quindi costretto ad aumentare di parecchio i prezzi dell’altra metà salva del raccolto per recuperare risorse e non essere costretto a dichiarare fallimento. A consolidare queste conseguenze c’è poi la legge del mercato concorrenziale, secondo cui i prezzi aumentano quando l’offerta di prodotti non riesce a soddisfare la sua domanda da parte dei consumatori, come nel caso di scarsità di quel tipo di frutto sui banconi dei supermercati dovuta a una parziale distruzione del raccolto.
Un danno formalmente subito dal produttore per via di un fattore climatico, quindi, viene trasferito al consumatore, che ne paga sostanzialmente le conseguenze in termini di prezzo.
Questo ragionamento si può e si deve estendere anche a tantissimi altri settori commerciali e non, specie in un Paese tristemente coinvolto in feroci tempeste di grandine, venti impetuosi e nubifragi a nord, e contemporaneamente incendi estesi in gran parte del sud. Nella sola Lombardia la situazione di emergenza maltempo ha generato danni per oltre 100 milioni di euro.
La grandine e il vento fino a 100 km orari di Milano e dintorni hanno fatto crollare impalcature, scoperchiato tetti e fatto cadere alberi. In Veneto ci sono stati problemi nella rete elettrica, con disagi e blackout sia per i privati che per le aziende. A ciò si collega poi la mano degli incendiari, cioè criminali che danno alle fiamme la natura circostante mettendo a rischio interi territori per via della rapida estensione degli incendi. I numeri di Legambiente non lasciano dubbi: dall’inizio dell’anno l’Italia ha visto bruciare oltre 51.000 ettari di vegetazione, 31mila soltanto dal 25 al 27 luglio e più dell’80% nella sola Sicilia.
Che situazione stiamo vivendo?
La quantità mastodontica di danni provocati dalle ultime vicende rende necessarie riparazioni, recuperi e ricostruzioni di beni distrutti o danneggiati, con i relativi costi. Consumerismo– associazione no profit e indipendente per la tutela dei consumatori – parla esplicitamente di inflazione climatica riferendosi all’impatto che il caldo estremo e tutti gli eventi legati al cambiamento del clima stanno avendo sul carrello degli italiani.
Nel solo settore alimentare infatti i prezzi al dettaglio sono lievitati del 3,2%, che si traduce in un costo annuale di 246 euro in più per ogni famiglia relativi all’acquisto di cibi e bevande, per un totale di 4,7 miliardi di euro annui. «Il cambiamento climatico impatta sulle risorse, sull’agricoltura, sulle infrastrutture e sulla produzione di energia, comportando un aumento dei costi generali che a sua volta influenza i prezzi dei beni e dei servizi offerti al pubblico – spiega Consumerismo – a esempio, il costo di un bene agricolo aumenta a causa di una minore disponibilità di produzione dovuta a un cambiamento climatico negativo, come sta accadendo da molti mesi per numerose tipologie di ortaggi o frutta». Ad aumentare sono però anche le bollette, visto l’ingente utilizzo di elettricità per alimentare condizionatori e ventilatori accesi per contrastare le ondate di caldo. Strumenti talvolta necessari ma che sono responsabili di ulteriori percentuali di emissioni di anidride carbonica, rendendo ancora più calda l’aria, oltre a aggravi di 110 euro annui in bolletta che diventano più di «2,8 miliardi di euro considerata la totalità delle famiglie italiane».
Ma uno scenario di questo tipo pesa anche sui servizi essenziali come voli, treni fornitura di acqua, gas ed elettricità. I cambiamenti climatici estremi più recenti, infatti, hanno danneggiato le infrastrutture adibite al trasporto di persone e merci, con disagi e disservizi generalizzati quasi sconosciuti nei decenni passati. La siccità riduce le riserve idriche impattando sul consumo domestico e industriale di acqua: costi aggiuntivi per le imprese, che si trovano costrette a rimodulare il loro business e adottare strategie per rimanere competitivi, come a esempio l’aumento dei loro prezzi.