In un periodo in cui l’approvvigionamento energetico appare difficoltoso a causa dello scoppio della guerra in Ucraina, l’Italia si trova a dover trovare nuove risorse per allentare la presa che le forniture russe esercitano sul nostro paese. Tra le possibili soluzioni c’è il
CSS (Combustibile Solido Secondario), ricavato dalla lavorazione dei rifiuti non pericolosi, sia urbani sia speciali, ottenuto separando materiali come plastica, fibre tessili e carta da altri non combustibili: vetro, metalli e inerti.
Il CSS può essere utilizzato in co-combustione, sostituendo parzialmente il carbon fossile o il petcoke, rispettivamente nelle centrali termoelettriche e nei cementifici. Dotato di essenza plastica, molto simile nella composizione al combustibile tradizionale per contenuto energetico e di carbonio , il CSS di qualità riesce a sostituire il carbone e a un costo molto inferiore rispetto a quanto si spenderebbe per importarlo dall’estero. Pensate che una tonnellata di CSS-C o “end of waste”, il cui uso è stato disciplinato dal decreto
Clini nel 2013, riesce a sostituire una tonnellata di carbone, circa al 90%.
Il problema è che il CSS viene prodotto in minime quantità perché non vi è richiesta, per questo motivo nonostante le competenze e innovazioni tecnologiche, le nostre aziende restano indietro rispetto al resto dell’Europa per quel che riguarda la sostituzione dei
combustibili fossili.
Secondo Ispra, nel 2020 sono state prodotte 1,4 milioni di tonnellate di CSS, perlopiù destinate alla termovalorizzazione, e nonostante il decreto del 2013 per favorire l’utilizzo di questo combustibile nella sua forma più raffinata, la mancanza di domanda determina una
produzione di fascia bassa che viene destinata solo agli impianti di incenerimento.
Le imprese Italiane che producono CSS di qualità sono poche e si rivolgono al mercato europeo, dove viene venduto un combustibile di alta qualità e a prezzi molto vantaggiosi.
Oltre alle esportazioni di CSS, all’estero giungono anche gli scarti prodotti dalla lavorazione dei rifiuti urbani per essere inceneriti o trasformati in combustibile, naturalmente a prezzi esorbitanti. In più, si aggiunga che il 20% dei rifiuti potenzialmente convertibili in CSS nel 2020 sono finiti in discarica da Nord a Sud.
Per alimentare la produzione di CSS come combustibile, occorre spostare il dibattito su base scientifica, riducendo le esportazioni di rifiuti e lo smaltimento in discarica, e allo stesso tempo il quantitativo di importazioni di combustibili fossili per una minor dipendenza
dalle forniture straniere.
L’Italia, quindi, deve rivedere le strategie di produzione e consumo energetico con l’obiettivo di valorizzare le risorse esistenti, soprattutto i rifiuti che nel sistema dell’economia circolare possono servire a produrre energia pulita e rinnovabile.
di Elena D’Aquanno