Esiste la tecnica, la regolamentazione in divenire, il clima dell’opinione pubblica, la maggiore o minore sensibilità delle strutture decisionali, ma esiste anche la politica, il profitto e il tentativo di far calare una cortina di nebbia dentro la quale quasi tutto diventa possibile.
La fase di assestamento in corso della dinamica ESG, nel dibattito mondiale, segue un periodo di “ubriacatura” nel quale sono prevalsi gli slogan. I decisori dei fondi istituzionali hanno tentato di proteggere la loro reputazione attingendo ai prodotti che trovavano sul mercato che in gran parte, successivamente, si sono dichiarati non idonei a rispettare la regolamentazione europea.
Un bel pasticcio, con centinaia di fondi che hanno scoperto di non poter mantenere le promesse che avevano presentato ad investitori previdenziali e assicurativi. Questa vicenda, in divenire, dimostra come il traguardo di uno standard condiviso ed efficiente sia lontano e ancor più lontana l’effettiva possibilità di verificare l’adesione ai principi ESG da parte delle innumerevoli aziende finali coinvolte. Certo, la diffusione globale di una nuova “filosofia” di investimento va salutata come del tutto positiva, ma i tempi di sedimentazione di una tassonomia europea, di un reale controllo della catena di valore e di uno standard di rendicontazione (European Sustainability Reporting Standards) da parte delle aziende, semplice e trasparente, diventeranno realtà tra due o tre anni.
La situazione negli Stati Uniti
Tempi lunghi che, dall’altra parte dell’oceano, fanno da contraltare a spinte tutt’altro che incoraggianti. I repubblicani della Camera dei Rappresentanti degli Stati Uniti hanno annunciato l’introduzione di una nuova proposta legislativa volta a limitare gli investimenti ESG nei fondi pensione. Il nuovo disegno di legge, l’“Ensuring Sound Guidance (ESG) Act”, presentato dai membri del Congresso repubblicano Andy Barr e Rick Allen, mira a riproporre diversi aspetti delle regole introdotte dall’amministrazione Trump volte a bloccare l’uso della considerazione dei fattori ESG da parte dei fiduciari dei piani pensionistici.
La regola dell’era Trump è stata effettivamente annullata dalla legge “Prudence and Loyalty in Selecting Plan Investments and Exercising Shareholder Rights” del Dipartimento del lavoro dell’amministrazione Biden nel dicembre 2022, che ha consentito ai gestori di fondi per i piani ERISA di includere considerazioni ESG nel processo di investimento. La legge di Biden, inoltre, ha consentito ai fiduciari di prendere in considerazione i fattori ESG nell’esercizio dei diritti degli azionisti, come nel voto per delega, ma ha richiesto che le considerazioni “devono essere basate su fattori che il fiduciario determina ragionevolmente essere rilevanti per un’analisi di rischio e rendimento. Successivamente, a marzo 2023, i repubblicani hanno ribaltato la legge del DOL al Congresso, con Barr che ha sponsorizzato la risoluzione per bloccare la normativa alla Camera, portando il presidente Biden a emettere il suo primo veto presidenziale per difendere la legge.
La nuova proposta dei repubblicani anti-ESG introduce diverse regole volte a bloccare l’uso di considerazioni ESG, tra cui l’obbligo per i fiduciari del piano ERISA di basare le decisioni solo su fattori di rischio e rendimento “pecuniari” o finanziari, invece che su fattori non pecuniari come considerazioni ambientali o sociali, e di utilizzare solo fattori non pecuniari quando si sceglie tra investimenti alternativi altrimenti uguali. Tra l’altro, il disegno di legge prevede la considerazione di fattori non pecuniari come le considerazioni ESG solo con il consenso scritto dell’investitore. Al di là dell’esito congressuale della proposta, emerge chiara una reazione politica che si fa portavoce di quella parte del mercato finanziario che crede nella assoluta libertà di scelta.
Se torniamo in Europa troviamo un importante segnale di “schieramento”.
Norges Bank Investment Management
Il fondo sovrano norvegese, Norges Bank Investment Management, uno dei più grandi fondi sovrani al mondo, ha annunciato la pubblicazione di una nuova serie di aspettative legate al clima per le società in portafoglio. In generale, le aspettative includono i requisiti per divulgare le emissioni della catena del valore, la rendicontazione dei rischi climatici e l’implementazione dei piani di transizione. NBIM è stato fondato per gestire i ricavi derivanti dalle risorse di petrolio e gas della Norvegia ed è cresciuto fino a diventare uno dei più grandi al mondo, possedendo in media quasi l’1,5% di tutte le azioni delle aziende quotate a livello globale, con partecipazioni in oltre 9.000 società in 70 paesi.
La nuova guida per le società in portafoglio fa seguito alla pubblicazione del piano d’azione per il clima di NBIM lo scorso anno, che includeva l’obiettivo di raggiungere zero emissioni nette per tutte le società del fondo entro il 2050 e un piano per definire le aspettative legate al clima per le società nel suo portafoglio, compreso l’obbligo di fissare obiettivi net zero.
Con la nuova pubblicazione, il fondo ha evidenziato che l’engagement con le società in portafoglio è “al centro del piano d’azione” e che le nuove aspettative potrebbero essere utilizzate come punto di riferimento per le attività di engagement tra cui dialoghi e proposte di voto degli azionisti, o la votazione per l’elezione dei membri del consiglio. NBIM ha aggiunto che le aspettative guideranno anche la sua analisi degli investimenti e la gestione del rischio. La pubblicazione include una serie di sei aspettative fondamentali, che coprono la supervisione del consiglio di amministrazione, la divulgazione del rischio climatico (chiedendo alle aziende di analizzare e divulgare in che modo i rischi climatici potrebbero influire sulle loro operazioni), il reporting sui gas serra, impegni per raggiungere il net zero entro il 2050, la definizione di obiettivi provvisori su base scientifica che coprano tutte le emissioni e piani di transizione con scadenze precise per raggiungere gli obiettivi intermedi. Un colosso di questa natura, che mette in fila una serie di concrete azioni di controllo, non tarderà ad avere effetti sul mercato.
ShareAction
“L’investimento responsabile è un approccio trasparente, integrato in tutto il processo di investimento, che prende sul serio gli impatti negativi e positivi sulle persone e sul pianeta tanto quanto il rischio finanziario e il rendimento”. È questa la nuova definizione di “investimento responsabile” lanciata da ShareAction nel tentativo di innalzare gli standard nel settore finanziario e aiutare a prevenire il greenwashing. Secondo l’Ong sono quattro i principi per gli investimenti responsabili.
La trasparenza, che, se rispettata, fornisce agli attori finanziari l’occasione di assumersi una reale responsabilità nei confronti dei clienti e dei risparmiatori sugli impatti sociali e ambientali degli investimenti effettuati per loro conto. Le informazioni fornite in un linguaggio semplice dovrebbero coprire gli impatti effettivi e previsti delle società in portafoglio, il modo in cui tali impatti vengono presi in considerazione nelle decisioni di investimento e la gestione delle società partecipate, compreso un approccio alla difesa delle politiche pubbliche.
In secondo luogo, secondo l’ONG il processo decisionale di investimento che bilancia rischio, rendimento e impatto dovrebbe essere applicato in modo coerente e sistematico in tutta l’organizzazione di investimento, coprendo tutte le classi di attività, le strategie e i fondi offerti.
Il terzo principio previsto da ShareAction riguarda l’assunzione della responsabilità degli impatti positivi e negativi su persone e pianeta da parte degli attori finanziari. Le decisioni di investimento dovrebbero evitare l’esposizione a gravi danni alle persone e al mondo naturale, sostenendo nel contempo l’allocazione del capitale ad attività che consentono impatti positivi. La gestione dei beni, inoltre, dovrebbe mitigare i danni e incoraggiare risultati positivi per tutte le parti interessate delle aziende, attraverso le questioni sociali e ambientali.
Infine, per l’ONG è necessario prendere sul serio gli impatti del mondo reale tanto quanto il rischio finanziario e il rendimento.Per ShareAction gli investitori dovrebbero adottare meccanismi oggettivi e coerenti per garantire che gli impatti sociali e ambientali siano considerati insieme a criteri di rischio finanziario e rendimento, informati da quadri globali credibili come gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs).
Assicurazioni e fondi pensione
Anche il mondo delle assicurazioni si muove. QBE Italia fornisce il proprio punto di vista sui compiti ESG, ossia le principali azioni che le compagnie dovranno mettere in campo per rendersi protagoniste del cambiamento. Trasferire gli impegni normativi al mercato, trovare modelli efficienti per valutare i rischi, avere un orientamento di lungo periodo.
Non sembra andare in una direzione promettente la dinamica dei fondi pensione.
La Relazione per l’anno 2022 di Covip, che fornisce un quadro dettagliato delle scelte di 332 forme pensionistiche diverse composte da 33 fondi negoziali, 40 fondi aperti, 68 piani individuali pensionistici (PIP) e 191 fondi preesistenti, segnala che solo 39 su 165 le forme pensionistiche complementari che integrano i fattori di sostenibilità nei propri processi di investimento con riguardo ad almeno uno dei comparti offerti. Inoltre, nell’analisi la Commissione di vigilanza sui Fondi Pensione evidenzia che per il 2° anno i fondi pensione hanno riclassificato i fondi secondo l’articolo 8 e 9 SFDR (Sustainable Finance Disclosure Regulation) perché anche loro sono ora obbligati dalla nuova disciplina. In particolare, emerge che i fondi pensione classificati come articolo 9 (“dark green”, ovvero i i fondi più ambiziosi del regolamento che devono avere come obiettivo l’investimento sostenibile) sono scomparsi del tutto, mentre i fondi articolo 8 (”light green”, ovvero che devono promuovere – tra le altre cose – caratteristiche ESG) sono calati di 11 unità rispetto al 2021.
Secondo gli ultimi dati di Morningstar, i gestori hanno declassato i fondi che detengono un totale di 175 miliardi di euro di attività da articolo 9 ad articolo 8. Per quanto riguarda i fondi pensione, invece, i dati della Commissione di vigilanza sui Fondi Pensione rivelano che nel 2022 i fondi pensione complementari articolo 9 sono passati da 6 a 0, mentre il numero dei fondi articolo 8 si è ridotto di 11 unità rispetto al 2021. Il totale delle forme pensionistiche complementari che integrano considerazioni ESG nei processi di investimento, dunque, ammonta a 39. I comparti caratterizzati da una politica di investimento sostenibile sono, nel complesso, 101 (pari al 18% del totale dei comparti oggetto di analisi) e detengono il 17% delle masse gestite.
Il ventaglio di difficoltà normative oggettive, mancanza di sensibilità, attenzione solo al profitto, interventi politici e mercati competitivi esiste. Il processo verso l’ESG sembra irreversibile, il modo in cui calerà nella realtà tutto da capire, il tempo concesso dal cambiamento climatico limitato.
di ANDREA CAMPORESE
Laureato in filosofia, già presidente Inpgi, dell’Associazione degli Enti Professionali privati e Privatizzati (Adepp) e della Associazione europea degli Enti Previdenziali dei Professionisti. Giornalista professionista Rai per oltre 20 anni, svolge attività di ricerca nel settore del welfare, della previdenza e della tecnologia applicata. Dal 2017 ha collaborato con grandi operatori privati nel delineare progetti sull’economia reale ad impatto sociale.
Fonte: https://www.mefop.it/blog/blog-mefop/economia-esg-moda-regole-rischio-sbagliare-obiettivo