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L’intelligenza artificiale è tra noi.

Forse. 

Dall’avvento di ChatGPT alla slavina a cui stiamo assistendo, il mondo (occidentale) sta correndo verso quel Klondike che risponde al nome di Artifical Intelligence: la disciplina che studia come realizzare sistemi artificiali intelligenti, ovvero in grado di svolgere attività tipiche della mente umana. La start up xAI – leggasi, Elon Musk – raccoglie finanziamenti per miliardi di dollari, “l’italiana” Almawave presenta Velvet, cerebro italiano, senza contare le n. competitor al softwarte di OpenAI: Google Gemini, Copilot di Microsoft, Meta AI e via elencando.

Tra speranze e paure, l’Intelligenza Artificiale è una realtà che si sta consolidando velocemente, molto più di quel che potremmo pensare, e non solo nei termini astratti di “super-cervello che apprende e interagisce”. La IA è estremamente materiale, ramificata e complessa, e come tale va pensata, discussa e regolamentata. Per esempio: la IA si addestra. Come una rete neurale umana, viene investita da dati. Questi vengono appresi dai “percettroni” – unità logiche neuronali artificiali – i quali nella loro struttura reticolare e stratificata si associano, rielaborando l’informazione e fornendo un risultato. È la sotto-categoria della disciplina che rientra nel campo del “machine learning”. Possiamo dunque pensare che il lavoro della IA sia privo di energia, di produzioni e di consumi?

A tal proposito risponde Elisa Gremmo, dottoranda in Filosofia a Padova – in questo momento visiting alla EHESS di Parigi – e collaboratrice con la Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati di Trieste. Con l’aiuto di Lorenzo Bardone – dottorando alla SISSA in Analisi matematica, modelli e applicazioni – Elisa studia il ruolo della creatività nella generative AI, in ambito artistico e “artigianale”, e quindi conosce la materia nei suoi risvolti tecnici e tecnologici.

Elisa, che tipo di impatto ha la AI nell’ecosistema mondo, e di conseguenza, conviene veramente utilizzare la AI nei nostri lavori quotidiani?

“Questa ‘grande macchina di neuroni artificiali’ funziona grazie ai supercomputer: stanze informatiche dagli elevati consumi energetici. Considerando il solo addestramento di una IA (per esempio, ChatGPT), questa ha prodotto, nel 2019, 284 milioni di tonnellate di CO2: l’equivalente delle emissioni di un’automobile nella sua intera vita, quintuplicato. Il dato è salito a 550 milioni nel 2024. Inoltre, queste sale informatiche producono calore, e necessitano di essere raffredate. Questo è possibile solo grazie all’acqua, mantenendo la temperatura tra 10° e 27°C. Acqua che però evapora, senza nessun riciclo. 

Per l’addestramento di ChatGPT3 (la penultima versione) sono ‘sfumati’ 3,5 milioni di litri d’acqua; scambiare 20 battute con l’Intelligenza Artificiale, da pc, ne consuma 0,5 litri. Ultimo, ma non ultimo, il problema delle materie prime: i materiali ad alta conducibilità spesso vengono minati da zone di guerra, da lavoratori sfruttati, e hanno inoltre una elevata tossicità. Per non parlare poi dei clickworkers e del database di Imagenet, che sfruttano la catalogazione delle immagini creando un’ingiustificata supremazia culturale”.

È giusto quindi, Elisa, “massificare” l’utilizzo della AI? Quale tipo di etica comunitaria dovremmo adottare nei confronti della AI?

“Non penso si possa fermare l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale, anzi. Ha senso però accorgersi che è qualcosa di tangibile e reale, fatto di materia, lavoratori, soldi. Ci sono tre diversi problemi da affrontare: dal punto di vista etico ed economico, rendere accessibile al maggior numero di persone possibile la IA, non solo alle aziende private (che implica, tra le altre, l’oscuramento dei dati di utilizzo energetico). Sul fronte ambientale, ricercare metodi più veloci e meno impattanti (Stable Diffusion XL turbo ne è un esempio). Infine, dal punto di vista legislativo, far sì che le leggi riferite l’AI Act tutelino ambiente e società.”

“Che la IA sia a disposizione di chiunque – continua Elisa – è un falso mito. La maggior parte di questi programmi è a pagamento, soprattutto quelli pensati per le aziende, con costi irraggiungibili dai singoli. I programmi a disposizione spesso hanno forti censure che limitano l’effettivo utilizzo. Nel libro di Francesco D’Isa La rivoluzione algoritmica delle immagini, in cui viene affrontato questo tema, sono pienamente d’accordo con quanto scritto: siamo di fronte a una tecnologia che funziona grazie ai dati di tutti – letteralmente di tutti – ma è a disposizione di pochi. È questo che mi porta a pensare, invece, alla IA come uno strumento davvero aperto e “massificato”, così da renderla una risorsa collettiva e non una funzione privata al solo vantaggio di chi se la può permettere.”

Data tale considerazione, restringiamo il campo al lavoro derivante dalla AI. Si può parlare di “produzione” peculiare della AI, cioè legata al suo utilizzo esclusivo, ed è questa produzione “necessaria” per la vita dell’essere umano, oggi? Che grado di utilità ha per l’essere umano?

“Sicuramente si può parlare di produzione peculiare delle IA: in linea di massima replica l’attività dell’essere umano, ma in pratica lo fa in modo originale. Riguardo il lavoro vero e proprio delle persone, non credo che la IA sia “necessaria” all’essere umano, ma d’altronde, di quante cose “non necessarie” ci avvaliamo nella vita di tutti i giorni, di cui non riusciremmo farne a meno? Storicamente, l’essere umano ha sempre cercato un modo per alleggerire la fatica del lavoro, renderlo più veloce, aumentandone il rendimento e abbattendone i costi. L’intelligenza artificiale mi sembra soltanto una delle ultime innovazioni tecnologiche che segue questa direzione, con tutti i rovesci della medaglia del caso”.

Si può distinguere tra produzione “positive” della IA e di produzioni “negative”, laddove per produzione si intende tanto il risultato di un lavoro “artificiale”, quanto della generazione di nuovi lavori derivanti dalle IA?

“Mi chiedo quale risultato di quale lavoro non sia artificiale; che cosa significhi artificiale? Non credo si possa distinguere a prescindere tra produzioni positive e produzioni negative delle IA, come al solito è l’uso a determinarne la connotazione. Per quanto riguarda il nesso con il lavoro, è ovviamente tutto in divenire. Sicuramente un suo uso massiccio manderà in disuso alcuni tipi di lavori, ma allo stesso tempo ne genererà altri. A tal proposito, c’è un interessante articolo dal titolo The Potentially Large Effects of Artificial Intelligence on Economic Growth (Briggs/Kodnani) che tratta della possibile perdita di 300 milioni di posti di lavoro e della creazioni di nuovi, con un incremento del PIL mondiale del 7% annuo”.

Elisa: in relazione, appunto, all’essere umano: si parla di Intelligenza Artificiale nei termini di “machine learning”, con l’idea di perfezionare la AI debole verso una AI forte. È una supposizione corretta? Da qui: perché l’essere umano dovrebbe demandare delle sue proprietà fondamentali – l’apprendimento e l’organizzazione – a un “essere altro”?

“Secondo me bisogna distinguere tra passaggio da IA debole a IA forte e una sua tendenza alla generalizzazione. Direi che la IA forte è più un concetto, una direzione, che un obiettivo concreto. La scienziata Melanie Mitchell parla di questa come del ‘Sacro Graal’ della cibernetica. Nonostante ciò, bisogna tenere conto che anche l’ideazione dei primi, rudimentali computer era parte proprio della ricerca sull’Intelligenza Artificiale. Un altro discorso, invece, riguarda il tentativo di generalizzazione delle funzioni. Credo sia intuitivo cercare di ottimizzare la quantità di compiti che possono essere svolti da una singola macchina, in modo da non aver bisogno di diverse tecnologie, ma di una sola che faccia tutto.”

Ma date le potenzialità dell’Intelligenza artificiale, cosa resterebbe dell’essere umano, dunque?

“Nella storia, quello che l’uomo ha fatto con la tecnica è stato di demandare compiti. 

Forse è questo il compito dell’essere umano: essere innervato di produzione tecnica, e quindi di ramificarsi e potenziarsi tramite la tecnica. È difficile lavorare sulla IA perché non ha storia, non abbiamo dei riscontri attendibili. Il fascino dell’Intelligenza Artificiale arriva dal mettere in discussione chi è l’essere umano, e parte della mia tesi di dottorato è dimostrare come la tecnica sia una base esistenziale dell’essere umano”. 

“Tra Arte e tecnica – continua Elisa Gremmo – c’è sempre stato un legame molto forte. Il confine tra arte e artigianato è labile, ed entrambe sono “artificialità”. L’arte è sempre stata qualcosa di collaborativo, e l’Intelligenza Artificiale mostra come questi collegamenti siano visibili per la produzione artificiale e artistica: una rete in continuo scambio, tra umanità e oggettualità. Non una produzione, bensì un processo di produzione”.

È su quest’ultima domanda che si rischiara, in maniera ancora intuitiva, ciò che la cooperazione degli esseri umani genera, in una sorta caos organizzato – o forza un’organizzazione caotica – le cui implicazioni globali si ripercuotono nella vita di ognuno. L’Intelligenza Artificiale non è, di nuovo, qualcosa di etereo; è, piuttosto, uno strumento estensivo della capacità umane. E in quanto tale, un altro ente in gioco nella grande scacchiera planetaria chiamata “Terra”. 

Sta a noi saper giocare questa partita con sapienza, con qualche speranza e con la giusta dose di sano, coscienzioso, timore.

 

di Damiano Martin