Definire quello che sta succedendo negli oceani un’anomalia sarebbe un eufemismo. Da marzo, le temperature medie della superficie del mare stanno facendo segnare picchi da record, come si evince dalla linea più cura del grafico che potete vedere qui sotto.
Dall’inizio della raccolta di questa tipologia di dati, all’inizio degli anni Ottanta, la temperatura media globale delle superfici oceaniche a livello globale ha oscillato a seconda delle stagioni tra i 19,7 e i 21 gradi Celsius. Verso la fine di marzo di quest’anno, ha superato i 21 gradi, stabilizzandosi su questa temperatura per un mese (il dato più recente, del 26 aprile, scendeva poco sotto quota 21 gradi). Oltre a essere senza precedenti, questo picco di calore è anche estremo.
Come spiega Robert Rohde, scienziato di Berkeley Earth, un’organizzazione no-profit che raccoglie dati sul clima, “di solito quando si verifica un particolare evento di riscaldamento, battiamo di poco il record precedente. In questo momento siamo ben al di sopra dei record precedenti per questo periodo dell’anno, da un periodo di tempo considerevole”.
Rhode sottolinea che nell’ultima settimana di aprile le temperature sono state più calde rispetto al record precedente di poco meno di due decimi di grado: “Due decimi non sembrano molti, ma per gli oceani in realtà è tanto, perché non si riscaldano così rapidamente come la terraferma”, afferma.
Come si può vedere dal grafico, marzo è normalmente il periodo in cui le temperature medie della superficie del mare iniziano a diminuire. Questo perché l’emisfero meridionale – che ha più oceani rispetto a quello settentrionale – passa dall’estate all’autunno. Quando gli oceani meridionali si raffreddano, la temperatura media globale della superficie del mare scende. Al momento, però, le anomalie relative alla temperatura sono diffuse in tutti gli oceani del mondo (i dati, in tempo quasi reale, provengono da una rete di satelliti, boe e altri strumenti oceanici). “Le temperature sono superiori alla media quasi ovunque – commenta Rohde – e c’è un’ondata di calore significativa nel Pacifico settentrionale, che dura da molti mesi”.
Anomalie che non lo sono più
Il riscaldamento dell’Atlantico potrebbe contribuire all’ondata di caldo estremo che sta colpendo la Spagna in questo periodo. Quello che accade nei mari non rimane relegato al mare. Gli oceani assorbono qualcosa come il 90 per cento del calore in eccesso che l’uomo immette nell’atmosfera, ma sono anche in grado di restituire quel calore all’atmosfera, che a sua volta riscalda la terra. “Sia l’atmosfera che gli oceani stanno diventando sempre più caldi”, afferma Boyin Huang, fisico e oceanografo presso la National Oceanic and Atmospheric Administration.
Secondo i ricercatori, l’anno scorso il cambiamento climatico ha trasformato gli eventi di calore estremo nell’oceano in un fatto normale. Attraverso i dati storici raccolti dalle navi di tutto il mondo, gli scienziati sono riusciti a determinare le temperature più elevate tra il 1870 e il 1919 registrate dalle superficie dei mari, ottenendo in sostanza un riferiemento di base per gli eventi estremi. Hanno scoperto che nel diciannovesimo secolo il 2 per cento degli oceani raggiungeva valori estremi in termini di temperatura. Oggi, invece, a causa dei cambiamenti climatici, la quota è salita al 57 per cento. In altre parole, gli eventi di calore estremo nell’oceano sono diventati tipici.
Gli scienziati non hanno ancora capito quale sia il contributo del cambiamento climatico all’attuale anomalia della temperatura superficiale. Ma sono nella posizione di affermare che a partire dall’inizio del Novecento la tendenza a lungo termine per la media globale mostra un aumento dell’intensità delle anomalie della temperatura superficiale del mare, come si può vedere nel grafico qui sopra.
L’aumento delle temperature sta già causando problemi in tutti gli oceani del mondo. Oltre a erodere rapidamente le enormi piattaforme di ghiaccio galleggianti dell’Antartide, l’acqua più calda si espande, occupando più spazio e facendo quindi salire il livello del mare.
Rischio El Niño
Le aree rosso scuro sulla mappa qui sopra mostrano che le acque del Pacifico al largo del Sud America sono attualmente molto calde. L’oceanografo biologico Francisco Chavez del Monterey Bay Aquarium Research Institute spiega che si tratta di una forma insolita di “El Niño costiero” non collegato al più grande fenomeno climatico, che in sostanza consiste in un banco di acqua calda che si sviluppa attraverso il Pacifico.
I modelli indicano che c’è il 62 per cento di possibilità che una versione classica del Niño si manifesti entro giugno o luglio, e il 40 per cento che si sviluppi una forma forte. Ma non è una cosa certa, perché El Niño è una conseguenza di complesse dinamiche atmosferiche. “C’è ancora molta incertezza, prevedere il vero El Niño è difficile perché l’atmosfera è caotica” dice Chavez. Ma quando arriverà, El Niño avrà sicuramente delle conseguenze. Tutto questo calore in più nel Pacifico potrebbe aumentare significativamente le temperature globali: “C’è la possibilità che il 2023 sia l’anno più caldo di sempre – afferma Rohde –. Se si sviluppa un El Niño, come ora riteniamo probabile, il 2024 sarà probabilmente più caldo del 2023″.
Impatto sugli ecosistemi
Nell’oceano, poi, è possibile che le acque più calde – per colpa di El Niño o del riscaldamento generale a lungo termine – diventino meno produttive dal punto di vista biologico. Alcuni organismi possono migrare verso acque più fredde, trasformando sia gli ecosistemi che lasciano che quelli in cui si rifugiano. Ma altri, come i coralli, rimangono bloccati dove sono. Questi animali sono particolarmente sensibili al calore, a cui reagiscono sbancandosi. La catena alimentare degli oceani dipende anche dalla circolazione naturale dell’acqua, che è influenzata in parte dalla temperatura. Quando l’acqua fredda delle profondità risale in superficie (il cosiddetto fenomeno di upwelling), porta con sé i nutrienti che fertilizzano il fitoplancton. Queste piante microscopiche crescono alla luce del sole, diventando una fonte di cibo fondamentale per lo zooplancton. Ma quando si riscalda in superficie, l’acqua si stratifica, trasformandosi in una sorta di calotta. Come spiega Chavez, “più la calotta è grande, più è difficile da rompere. Riscaldando l’oceano, in pratica si riduce la quantità di nutrienti che risalgono. Ma la preoccupazione sul lungo periodo è quanto questo riscaldamento generale cambierà i processi naturali di fertilizzazione, come l’upwelling? L’oceano, nel tempo, diventerà un deserto?”.
Questo articolo è apparso originariamente su Wired US.
Fonte: https://www.wired.it/article/oceani-superficie-temperature-record/