Cosa succede quando l’acqua inizia a scarseggiare? La prima conseguenza è il crollo della produzione di derrate alimentari, come il mais o il riso. Cambiamento climatico, water grabbing, infrastrutture carenti, aumento dei prezzi a causa delle privatizzazioni, competizione con altri settori (es. produzione di elettricità da fonti fossili): le cause sono molteplici. Ma la conseguenza è sempre una: conflitto. Gli accademici le definiscono “water wars”, guerre e conflitti combattuti per l’acqua o per la mancanza di questa, legata in particolare all’agricoltura.
Nell’immaginario hollywoodiano l’esempio più celebre e pop è quello di Mad Max: Fury Road, nelle dove il potere non è più nelle mani di chi controlla il petrolio, ma di chi possiede l’acqua. Un mondo desertico, post-disastro climatico, dove le folle adorano il super-cattivo che li tiene ad esso legati riversando su di loro cascate d’acqua.
Ma il mondo distopico di Mad Max potrebbe non essere troppo lontano dalla realtà di alcune zone del pianeta. Se nel XX secolo tante guerre hanno visto il petrolio al centro, dall’Iraq all’Afghanistan, dalla caduta dello Scià in Iran, al tentativo dei tedeschi di bloccare i rifornimenti inglesi di petrolio dall’asia centrale, oggi, lentamente, i nuovi conflitti si stanno sempre di più sviluppando intorno al tema della terra (land grabbing) e dell’Acqua (water grabbing ).
Nel cosiddetto sud nel mondo, ma anche in alcuni paesi industrializzati, da bene comune liberamente accessibile, l’acqua è divenuta un bene privato o controllato da chi detiene il potere. Sotto la spinta della crescente domanda d’acqua dovuta all’aumento di popolazione e alla crescita industriale e sotto la morsa del cambiamento climatico, sempre più visibile nella nostra quotidianità, l’acqua diventa fonte di conflitto, bene scarso per cui è fondamentale accaparrarsene a spese del vicino, a discapito anche di donne e bambine che si occupano della raccolta giornaliera sottraendo tempo all’educazione e al lavoro.
La guerra mondiale per l’acqua
La lista dei conflitti per l’acqua è in crescita. Dalla siccità in Siria, che ha contribuito a esacerbare uno dei peggiori conflitti degli ultimi cinquant’anni, fino alla siccità globale del 2016 che ha aggiunto 50 milioni di persone nella lista della popolazione colpita da “fame estrema”, dalla tragedia in Sud Sudan di inizio 2017, dove le persone si sono letteralmente uccise a vicenda per la poca acqua rimasta nei pozzi, alle proteste in Bolivia e Cile contro le privatizzazioni delle risorse idriche.
Nel seguente grafico potete vedere la crescita dei conflitti riconducibili al controllo dell’acqua nel corso degli ultimi 40 anni. Cliccando sul grafico potrete vedere “a tutto schermo” anche i dati a partire dal 1950.
In questa seconda mappa a cura di Riccardo Pravettoni, su dati FAO, WRI Aqueduct, WHO UNICEF e Pacific Institute, potete invece vedere dove si sono sviluppati conflitti a causa dell’acqua negli anni 2011-2015, la percentuale di popolazione senza acqua potabile (evidenziata in diversi colori) e la percentuale di popolazione sotto nutrita. Le correlazioni vi risulteranno immediatamente evidenti.
Per vedere la mappa a tutta pagina in una nuova finestra cliccate sull’immagine di anteprima qui di seguito:
In alcuni casi questi conflitti possono assumere una scala internazionale. Uno dei punti “caldi” è il fiume Indo che alimenta il settore agricolo ed energetico di due nemici di lunga data, India e Pakistan. Il fortissimo prelievo agricolo ha spesso scatenato dure invettive politiche da entrambe le parti, senza – per ora – dare luogo ad un escalation vera e propria.
Tensioni internazionali stanno crescendo anche in Africa. In particolare in Etiopia, dove grandi opere idrogeologiche, come la Grand Renassaince Dam, costruita sul Nilo Azzurro, hanno spinto il governo egiziano a minacciare ritorsioni nel caso si fosse verificata una forte diminuzione del regime idrico lungo il famoso fiume e una riduzione dei sedimenti ricchi di nutrienti fondamentali per l’agricoltura. Tensioni simili sono in corso anche con il vicino Kenya, che recentemente ha protestato per la diga Gibe III, che sarebbe causa di un crollo drastico del livello delle acque del lago Turkana, fonte di sostentamento per decine di etnie nella regione, le quali, sostengono ricercatori come l’esperto Sean Avery, potrebbero dare avvio ad una serie di guerre tribali per il cibo e l’acqua.
Altra area tenuta d’occhio dagli esperti di geopolitica internazionale è il bacino idrico del Mekong, fiume conteso tra i suoi stati rivieraschi.
l Mekong (il cui nome significa “la madre delle acque”) è considerato il gigante d’Indocina, dodicesimo al mondo in termini di portata (475 km³ annui). La sua lunghezza stimata è di 4.880 km e il bacino ha un’ampiezza di 810.000 km². Dall’altopiano del Tibet il fiume attraversa la provincia cinese dello Yunnan, la Birmania, la Tailandia, il Laos, la Cambogia e il Vietnam dando sostegno a oltre 200 milioni di persone. Dalle sue acque si trae supporto per le colture di riso lungo tutto il suo percorso ed è una risorsa per la pesca per oltre 60 milioni di persone.
L’abbondanza del fiume ha permesso, per migliaia di anni, il fiorire di regni prosperi, come quello Khmer, e sostenuto centinaia di comunità indigene che hanno sempre vissuto in equilibrio con il Mekong. Negli ultimi anni tuttavia una serie di fattori stanno alterando il suo equilibrio. I più importanti sono la costruzione di oltre 39 mega-dighe lungo il suo corso, la modifica del regime idrico dovuta al cambiamento climatico e l’accresciuto prelievo idrico.
«Le future crisi idriche minacciano di rallentare il settore chiave per alleviare la povertà nel sudest asiatico – l’agricoltura», sostiene Brahma Chellaney, autore del libro Water, Asia new Battleground. «Il rischio è che possano esplodere tensioni politiche legate al Mekong se gli stati non cooperano per affrontare le nuove sfide». Le dighe in particolare sono considerate un elemento distruttivo. La Cina ha costruito sette impianti idroelettrici di grandi dimensioni nell’Alto Mekong, mentre altre ventuno sono in programmazione. Nella parte meridionale del bacino ne sono programmate undici, la gran parte in Laos, uno dei paesi più poveri d’Asia, che aspira a diventare la pila idroelettrica d’Asia, con un potenziale di produzione di 26 gigawatt. Un boom energetico, ma a quale costo? L’associazione International Rivers afferma che “le dighe potrebbero ridurre sensibilmente la pesca, limitare lo scorrimento dei sedimenti e degli elementi per l’agricoltura, impattando la sicurezza alimentare e mettendo a rischio il delta del Mekong, oltre che forzare il trasferimento di decine di migliaia di abitanti”.
di Emanuele Bompan
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