Rispondere alle sfide del futuro: è il compito a cui da sempre sono chiamati i manager e i leader aziendali, a maggior ragione in uno scenario in continua evoluzione come quello attuale, dove si rende oltremodo necessario portare innovazione anche nel campo dell’istruzione. Il rapido cambiamento del contesto lavorativo sta infatti accelerando la necessità di sviluppare competenze nuove, soprattutto in termini di soft e life skill: più di un giovane su due (secondo le ultime rilevazioni di Gi Group e Joinrs, ex Tutored) teme il cosiddetto skill mismatch, ovvero il disallineamento tra formazione universitaria, titoli di studio e competenze richieste dal mercato.
Come ovviare a questo problema? La soluzione suggerita da Forward College, università europea nata nel 2021 in Portogallo, fa leva su un nuovo metodo di apprendimento volto a preparare i giovani alla vita professionale valorizzando le attitudini del singolo e focalizzandosi sullo sviluppo della human intelligence in tutte le sue forme di conoscenza: cognitiva e sociale, emozionale e pratica.
I principi dell’active learning sono quindi alla base di un percorso di studio triennale (articolato fra tre città europee, Lisbona, Parigi e Berlino nell’ordine) che parte da una definizione della leadership come un processo intenzionale, collaborativo e basato sui valori. L’essere leader, in altre parole, viene inteso come un processo relazionale, sfaccettato e (soprattutto) come il risultato di un’esperienza di apprendimento collettiva.
L’obiettivo di Forward College, i cui titoli di studio vengono erogati da istituzioni autorevoli come la London School of Economics and Political Science e il King’s College London, è formare gli “adulti emergenti” e i manager di domani attraverso un modello basato sul coinvolgimento e su un’esperienza di formazione olistica, che abbraccia iniziative in ambito sociale, digitale e consulenziale e non si limita ad impartire solo delle conoscenze accademiche.
Il progetto, come conferma anche Boris Walbaum, Ceo e Founder di Forward College, è ambizioso e punta a un riconoscimento ancora più importante: essere riconosciuti per la capacità di creare “positive changemakers” in grado di guidare la transizione digitale in modo etico e promuovere un business attento alla questione climatica.
Il valore della human intelligence al cospetto della popolarità dell’artificial intelligence: che opinione ha al riguardo? L’AI può essere un supporto per il learning?
Chi frequenta il corso di Data Science è ovviamente interessato alla questione. Ma in generale, per poterla integrare efficacemente nei loro progetti, tutti i nostri studenti devono capire come funziona l’intelligenza artificiale, cosa può fare e quali sono i suoi limiti. E per questo motivo la utilizziamo come strumento e la consideriamo un oggetto didattico: non appena ChatGPT è stato rilasciato, per esempio, abbiamo organizzato dei workshop in cui gli studenti hanno cercato di decifrarne i punti di forza e di debolezza. Il punto chiave è comunque guardare oltre.
Come università siamo allineati con l’Ocse e il World Economic Forum nel considerare come l’ascesa dell’AI ci imponga di reinvestire in altre forme di intelligenza umana. Sono queste ultime che posizioneranno i nostri figli come complementari agli algoritmi e non in competizione con essi: l’intelligenza sociale per creare una rete, migliorare la collaborazione e coltivare relazioni di fiducia; l’intelligenza emotiva per garantire il benessere e sviluppare la creatività; l’intelligenza pratica per realizzare progetti di grande impatto in un mondo incerto, con l’aiuto della tecnologia.
Il vostro è un modello di formazione “attiva”: come gestite il tema dell’orientamento, uno dei principali problemi degli studenti italiani?
Innanzitutto è utile ricordare come il tema dell’orientamento sia fonte di ansia per i genitori in tutta Europa, e non solo quelli italiani. Non bisogna pensare di dover avere in mente una professione prima di intraprendere una carriera accademica, perché quasi tutti i lavori che conosciamo oggi cambieranno radicalmente nei prossimi decenni. Il mio primo consiglio è quindi quello di indirizzare gli studenti verso le materie in cui hanno interesse e in cui ottengono risultati: è questo il contesto in cui potranno eccellere e dimostrare la loro capacità di apprendere e di conseguenza quello in cui si apriranno le migliori opportunità di impiego.
C’è un secondo consiglio?
Indirizzare gli studenti verso l’avventura. Bisogna esporre i giovani a un certo livello di incognita, per esempio andando all’estero. Non ritengo sufficiente formarli in aule con lezioni ed esami tradizionali e prevedibili mentre credo sia essenziale prepararli all’incertezza che li attende: senza questa preparazione, l’incertezza e il cambiamento saranno fonte di ansia e non di opportunità. Guardare a ciò che gli studenti hanno fatto oltre all’apprendimento accademico è un aspetto a cui i dipartimenti Hr guardano sempre più spesso, perché è una realtà della vita aziendale. I giovani devono dimostrare di essere in grado di prendere in mano la situazione e di condurre progetti in autonomia, come saranno chiamati a fare in seguito nella vita lavorativa.
Le soft skill sono già oggi uno dei requisiti richiesti ai leader: quale “competenza” è più importante per fare carriera nelle aziende di domani?
La capacità di apprendere determinerà il futuro dei nostri figli, non solo per quanto riguarda la conoscenza, ma anche e soprattutto per le altre forme di intelligenza. Le tecnologie, la comunicazione e i modelli di lavoro stanno cambiando così velocemente che dovremo adattarci e trarne vantaggio rapidamente; lo stesso vale per la resilienza, e cioè la capacità di assorbire i fallimenti e di imparare da essi, che ritengo un’abilità cruciale per il successo personale e professionale di questa nuova generazione. Dobbiamo essere in grado di navigare nell’incertezza, accettare le difficoltà e andare sempre avanti dopo aver imparato.
di Gianni Rusconi