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Come spiegano Benedetto Buono e Federico Frattini in “Innovationship” (Egea), la quantità e la qualità dei rapporti umani sono il vero motore del progresso. Condividere esperienze e trasferire conoscenze permette, tra le altre cose, di ridurre i costi

L’innovazione è un processo che ha una natura fondamentalmente sociale. Si realizza attraverso interazioni tra individui che si scambiano esperienze e punti di vista, interagiscono con la tecnologia per testare, adattare e far evolvere il proprio bagaglio di conoscenze e in questo processo, abilitato dalla disponibilità di capitale finanziario, identificano soluzioni inedite alle sfide e ai problemi che fare innovazione comporta, producendo tecnologia, che altro non è se non una forma di conoscenza applicata alla risoluzione di casi concreti e alla realizzazione di nuovi prodotti, servizi, modelli operativi e processi. Di fatto, l’innovazione si produce attraverso un continuo processo di alimentazione e sviluppo del capitale tecnologico, innescato dalla disponibilità di capitale finanziario.

Questa modellizzazione concettuale trascura tuttavia il ruolo insostituibile che il capitale relazionale gioca nell’abilitare e innescare i meccanismi in gioco. Il capitale tecnologico si accresce e si sviluppa attraverso relazioni personali e professionali che permettono a ricercatori, ingegneri, designer e innovatori di entrare in contatto l’uno con l’altro, lavorare insieme e generare nuova conoscenza attraverso la condivisione e il confronto.

Le relazioni personali e professionali sono fondamentali per garantire accesso al capitale finanziario, che è il carburante che innesca il processo di innovazione. L’innovazione accresce a sua volta il capitale tecnologico dell’impresa attraverso la condivisione di esperienze e meccanismi di apprendimento e di assimilazione e trasferimento delle conoscenze che si realizzano a livello umano. La quantità e la qualità delle relazioni personali e professionali di chi si fa promotore ed è parte attiva di un processo di innovazione – di fatto, il suo capitale relazionale – costituiscono dunque una risorsa indispensabile per garantire che esso produca i risultati sperati.

È partendo da questa consapevolezza che negli ultimi anni sono stati condotti molteplici studi sulle relazioni tra capitale relazionale e innovazione. Ricerche che hanno inequivocabilmente mostrato come la quantità, la qualità, la tipologia di relazioni personali e professionali di cui dispone chi si fa parte attiva di un progetto di innovazione giochino un ruolo incomparabile nel garantire il raggiungimento dei risultati previsti. Uno studio pubblicato nel 2002 mostra come la disponibilità di risorse relazionali contribuisca alla capacità di generare innovazione più di qualsiasi altra possibile variabile esplicativa. In particolare, la capacità di generare innovazioni radicali, indispensabili per contribuire significativamente al vantaggio competitivo di medio-lungo periodo di un’azienda, è profondamente influenzata dalla disponibilità e dalla qualità del capitale relazionale detenuto da chi promuove questo tipo di progetti.

Secondo un’altra ricerca, il capitale relazionale contribuisce all’innovazione riducendo i costi di transazione tra gli attori coinvolti nel processo innovativo, e in particolare i costi associati alla ricerca di informazioni, alla presa di decisioni e al controllo dell’avanzamento del progetto. Altri autori affermano che il capitale relazionale è in grado di favorire l’innovazione accelerando la condivisione delle conoscenze, semplificando la comunicazione e amplificando la collaborazione e la condivisione di risorse.

Un altro studio enfatizza invece il beneficio garantito dal capitale relazionale in fase di generazione di idee che alimentano i processi di innovazione. In una recente ricerca si enfatizza poi come, per affrontare sfide innovative complesse finalizzate a risolvere problemi che impattano su molteplici variabili socioeconomiche e ambientali, ricercatori e ingegneri abbiano bisogno non solo di specifiche conoscenze tecnologiche, ma di una spiccata competenza relazionale e di un forte bagaglio di connessioni personali attraverso cui valorizzare la loro partecipazione all’interno delle comunità di esperti.

Alla luce di queste considerazioni, è intuitivo comprendere come il ruolo che il capitale relazionale gioca nei processi innovativi diventi ancora più importante quando un’impresa adotta una strategia di Open Innovation. L’Open Innovation presuppone che il capitale umano e tecnologico che un’azienda detiene si alimenti attraverso un continuo scambio con soggetti esterni ai propri confini. I flussi di idee e competenze che interconnettono l’impresa con fonti esterne di conoscenza devono essere abilitati da un network di relazioni personali e professionali che consentano di identificare il partner di maggior valore per il problema specifico che si sta affrontando.

Anche nei casi in cui ci si rivolga a degli intermediari […], esiste la necessità di conoscerne nel profondo il modo di lavorare, le peculiarità dei servizi che erogano e le opportunità specifiche che offrono. Queste relazioni devono garantire il raggiungimento di un elevato livello di fiducia, dato che tramite esse si realizzano scambi di beni intangibili, con potenziali rischi di spillover e perdita di controllo di competenze distintive. L’impresa che per innovare si apre all’esterno ha bisogno di un network di relazioni estremamente più fitto, più variegato, più articolato e più complesso da attivare e gestire rispetto a un’impresa che conduce i propri progetti di innovazione secondo una strategia closed.

 

Da “Innovationship – L’innovazione guidata dal capitale relazionale”, di Federico Frattini e Benedetto Buono, Egea, 176 pagine