Che cosa ci aspettiamo dai nostri leader? Più le cose si fanno complicate, più l’attesa che da qualche parte emerga un leader che sappia guidarci verso il futuro si fa pesante. E’ chiaramente un istinto innato della nostra specie, quello di aver bisogno di essere condotti: con i secoli è stato formalizzato e professionalizzato e ne abbiamo fatto una vera e propria disciplina, quasi una religione laica.
Oggi però è comune dire che “possiamo essere tutti leader”, e quindi giù a cercare la leadership nascosta in ognuno di noi: si tratta di saper prendere le decisioni giuste? Di saper gestire l’incertezza? Di saper convincere gli altri? Quale grado di possesso di queste e altre capacità farebbe di noi dei “leader”?
La sensazione di fondo è che la leadership venga dipinta a colori perché si porta dietro una bella dose di fregature. Quanti vorrebbero veramente essere costantemente sotto ai riflettori per indicare la strada a tutti gli altri? Per la specie umana, che nei millenni è sempre stata minacciata da grandi predatori, la visibilità è naturalmente sinonimo di pericolo: quando sei visibile puoi essere mangiato. Poi ci abbiamo lavorato su un bel po’, ma la prima reazione, quella biologica, è sempre e comunque di stress. Conviviamo male con l’incertezza, il nostro cervello ama le decisioni semplici o, ancora meglio, abitudinarie, ci sentiamo al sicuro se apparteniamo a un gruppo: siamo gregge più che falchi solitari. Siamo quindi nati per essere dei follower, demandando ad altri, creature “eccezionali”, la nostra sorte?
Se fosse così, sarebbe un bel problema, perché il mondo è diventato troppo complesso e veloce perché pochi individui – che sono oltretutto molto simili tra di loro perché selezionati attraverso uno schema che ancora oggi attinge più all’istinto che alla realtà – siano in grado di darci tutte le soluzioni giuste. Per fortuna, però, non è così. La vera, illuminante storia di come funziona la leadership è raccontata da Derek Sivers, eclettico pensatore, autore, imprenditore e musicista americano, in un TED di 4 minuti dal titolo “Il leader è fatto dai primi follower”.
Sivers usa il video di una situazione come tante, in cui in un campo pieno di gente un ragazzo decide di alzarsi e ballare. Balla con entusiasmo e convinzione, seguendo una musica che sembra dire qualcosa solo a lui. Non esita, continua da solo per un bel po’: gli altri lo guardano, lo ignorano, forse si domandano perché lo faccia, probabilmente in molti lo trovano ridicolo e non hanno nessuna voglia di seguirlo nel fare quella cosa nuova e strana. A questo punto della storia, il leader è semplicemente un “lone nut”: un matto solitario. Potrebbe essere un genio, quel che fa potrebbe salvare il mondo, ma non è in grado di dimostrarlo: per quanto si sbatta e ci creda e perseveri, resta un matto che balla da solo.
A un certo punto, però, ecco che lo raggiunge un’altra persona, che comincia a ballare con lui. Questa è la svolta della storia: il “primo follower” ha il ruolo cruciale di dimostrare a tutti gli altri come sia possibile, persino facile, seguire il leader, e infatti il leader lo accoglie come un pari e il ballo diventa subito “il loro” ballo. Il primo follower è più coraggioso del leader: si mette in gioco per un’idea che non è la sua, per seguire la visione di qualcun altro, e siamo ancora nella fase in cui potrebbero continuare a ballare solo in due, rischiando il ridicolo.
“Il primo follower trasforma un pazzo solitario in un leader”, dice Sivers.
Ma il vero tipping point, punto di svolta, si ha quando arriva il secondo follower. Se due persone sono ancora due matti solitari, tre persone sono una folla. E, concetto illuminante, nuovi follower arriveranno per seguire i follower, e non il leader. Nel video, a breve distanza di tempo dall’arrivo del secondo follower, a ballare nel campo c’è una vera e propria folla. A quel punto non ballare diventa la scelta più difficile, più contro tendenza. Il leader è dunque riuscito nel suo intento? A ben vedere, le persone non hanno seguito lui. Hanno seguito gli altri follower, tra cui gli essenziali primi due.
I leader, conclude Sivers, sono sopravvalutati. Altrettanto coraggio e determinazione, forse addirittura di più, richiede essere quelli che li vedono e scelgono di alzarsi in piedi per primi dopo di loro. Sono loro che rendono efficace la leadership, dando una chance al mondo di cambiare direzione, di fare qualcosa di nuovo. E lo fanno inseguendo un’idea che hanno riconosciuto come propria pur senza il bisogno di assumerne la paternità.
Ecco, se essere leader può sembrare una scelta non alla nostra portata (troppa fatica, troppa visibilità, troppo rischio e un mix di caratteristiche che a volte pensiamo debbano essere innate e non ci appartengano), essere first follower di certo lo è. Sapendo questo e conoscendo adesso l’impatto vitale dei first follower perché le cose cambino, possiamo dunque spalancare gli occhi per guardarci intorno e scegliere per chi alzarci. E poi iniziare a ballare.