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Nel calendario di ambientalisti e naturalisti dal 1992 c’è una giornata in bella evidenza, in rosso: 8 giugno giornata mondiale degli Oceani. È la giornata in cui le acque del globo mostrano una faccia terribilmente sfigurata. Gli oceani tengono in vita il pianeta, occupano più del 70% della superficie terreste, sono essenziali per l’assorbimento della CO2, sono la piattaforma economica per il traffico navale. Quando la giornata mondiale fu istituita, i mari accusavano i primi malanni. Le Nazioni Unite si fecero carico di quelle preoccupazioni e chiesero ai paesi di adottare misure a protezione. I piani erano embrionali e rimandavano alle responsabilità dei soggetti più disparati: governi, armatori, albergatori, industriali. Non era ancora il tempo di convegni con dati e rilevazioni scientifiche, di mostre, di campagne mirate, di mobilitazione e comitati. Ci sono voluti anni, prima di arrivare a una sensibilizzazione vera sulla salute degli Oceani. In pratica, dico che abbiamo scoperto prima la Luna e poi il Pianeta blu.

Negli oceani c’è vita e quella vita deve continuare come ogni altra attività umana. Gli anni successivi alle prime preoccupazioni degli anni ’90 sono stati i peggiori per la qualità delle acque, indispensabili alla nostra sopravvivenza. Il peggioramento è stato progressivo e irresponsabile, se pensiamo che solo di plastica ne scarichiamo 8 milioni di tonnellate all’anno. Tutti e cinque gli Oceani – Atlantico, Pacifico, Indiano, Artico e Antartico- sono stati guerreggiati dall’uomo, da attività industriali incontrollate, scarichi illeciti, traffico navale dannoso, incuria generalizzata, turismo di massa trivellazioni selvagge. Solo in anni più recenti ci si è accorti che le microplastiche stanno distruggendo flora e fauna. Che le ripercussioni per la salute e l’alimentazione umana sono devastanti. L’Onu dice che la vita di tre miliardi di persone dipende ormai dalla qualità del mare. I pericoli iniziali sono diventati emergenza vera quando abbiamo cominciato a discutere di riscaldamento globale, di politiche che tenessero sotto una certa soglia l’innalzamento della temperatura. In  quelle ampie e complesse discussioni, è entrata di diritto la qualità del mare. Per la prima volta nella storia dell’umanità si è parlato di limiti alla pesca per permettere alle specie marine di riprodursi a discapito del commercio. La  FAO ha dovuto definire precise aree geografiche dove poter pescare e cosa. Gli scienziati hanno  affinato i loro studi ma ci dicono anche che il 90% delle specie marine sono ancora da classificare. Come è potuto accadere ? ” Il mare rappresenta da sempre fonte di ispirazione e curiosità per l’essere umano. Dalle sue profondità fino alle grandi onde oceaniche, uomini e donne hanno dedicato la loro vita a studiare gli oceani, esplorarli o semplicemente a giocarci dentro” spiega Alessio Rovere, professore all’Università Ca Foscari di Venezia. A questi uomini dobbiamo molto, professore.” Si, nel farlo, hanno scoperto la natura e se stessi. A volte, hanno fatto la storia” risponde Rovere.Il professore ha realizzato podcast ( https://youtube.com/playlist?list=PLhYGGzjMovNetjY7OXI5ylbLY0Se7gvYa&si=rT7Og6hsBmas5jRG ) intensi che hanno come filo comune gli oceani e la passione di chi li studia. Una viaggio a tappe- “Storie di mare”- dall’invenzione dell’ecoscandaglio alla scoperta della dorsale dell’oceano Atlantico da parte della scienziata Marie Tharp. La scoperta straordinaria di quella dorsale nel 1952, tra le più importanti cartografie del secolo, si collega alla teoria della deriva dei continenti ” spiega Rovere. Sono materiali istruttivi  per comprendere i mutamenti avvenuti lontani dalle coste ma che condizionano la nostra vita. ” È innegabile che ci troviamo in un momento cruciale per quello che riguarda la tutela dell’oceano. Importanti accordi internazionali, come il tanto atteso Trattato sull’Alto Mare, sono stati approvati ma ora devono essere messi in pratica” dice Francesca Santoro, della Commissione Oceanografica Intergovernativa dell’UNESCO. La Commissione coordina le iniziative di 150 Stati membri e per il 7 e 8 giugno ha organizzato a Venezia, insieme al Gruppo Prada, un calendario di eventi sulla sostenibilità del mare. I soggetti in campo non si fermano alla giornata dedicata agli Oceani. Non si abbassa la guardia  e si cerca di rendere più forti le relazioni tra esseri umani e acque del mare. Le  Nazioni Unite hanno in corso il Decennio delle scienze oceaniche per lo sviluppo sostenibile 2021-2030 che a sua volta incentiva gli studi e le ricerche per la salvaguardia di quel 70% del pianeta che ci consente di vivere. E un giorno, chissà, dal calendario scomparirà la data cerchiata in rosso.

 

di Nunzio Ingiusto