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Le piante sono intelligenti? Una domanda ostica, a cui qualcuno sta cercando di rispondere. È Umberto Castiello: docente di psicologia cognitiva all’Università di Padova, specializzato in neuroscienze cognitive del movimento, e soprattutto della psicologia vegetale. 

È a capo del gruppo di ricerca Mind(the)plant, il cui obiettivo è lo studio investigativo dei meccanismi psicologici e cognitivi delle piante, dati dal loro comportamento e dalla loro comunicazione. Un argomento affascinante, con il quale il professore è stato protagonista all’ultimo TedxPadova, tenutosi lo scorso 25 maggio 2024. 

Prof. Castiello: è più intelligente un essere umano, un animale o una pianta? 

“Non porrei la questione in questi termini. Il più grande ostacolo che spesso impedisce l’inclusione delle piante nel novero degli esseri intelligenti è che le piante sono prive di cervello. Fare questa assunzione significa fare due inferenze: la prima, che l’intelligenza appartiene solo agli esseri viventi dotati di un cervello; la seconda, che quasi tutta la vita sulla terra è stupida. Le piante occupano circa il 90% della bio­massa terrestre. Le pare sensato?” 

Quindi, dato il loro essere a-neurali, significa che le piante siano “istintive”? 

“La letteratura a nostra disposizione ci dice che le piante si muovono nell’ambiente in maniera anticipatoria. Significa, per esempio, che le piante pianificano il movimento in base all’obiettivo da raggiungere. Significa che le piante sentono o vedono. La differenza con noi è che ogni cellula vegetale è un organo di senso molto sofisticato”. 

Perché studiare il movimento e l’intelligenza delle piante? Come può il movimento vegetale, la loro intelligenza, cambiare le sorti dell’essere umano? 

“L’idea alla base delle nostre ricerche è che il movimento sia l’unico modo che gli organismi viventi abbiano a disposizione per influenzare il mondo che li circonda. Da qui, l’obiettivo che ci siamo posti è capire se sia necessario possedere un cervello per organizzare un movimento intenzionale. La mente umana attribuisce una forma di intelligenza a chi rispecchia parametri di movimento spazio-temporali simili ai nostri. Al contempo, sapere che il comportamento delle piante è guidato da una forma di intelligenza permette di renderle più visibili all’occhio umano. La maggior parte delle persone soffre di “plant blindness” un termine che descrive l’incapacità dell’essere umano di vedere le piante e di riconoscerne la vitale importanza. Avere più informazioni su come le piante vivono la loro vita può aumentare la consapevolezza che le piante siano una parte attiva del nostro ambiente e indispensabili per la nostra sopravvivenza”. 

La società umana, quindi, può cambiare osservando e replicando la “società vegetale”? 

“Le piante utilizzano come strategie quella di decentrare le loro funzioni. Una modalità estremamente efficiente che permette di organizzare sistemi complessi senza la necessità di centri di controllo. Lo studio dei comportamenti nei gruppi ci insegna che le decisioni prese da un numero elevato di individui sono quasi sempre migliori di quelle prese da pochi”. 

Durante un suo Ted talk sostiene che le piante geneticamente modificate siano “più stupide”. Viene a mancare, secondo lei, una componente esperienziale ed ereditaria fondamentale, rispetto a quelle naturali? Che ruolo ha la memoria in tutto ciò? 

“La memoria gioca un ruolo fondamentale. Una scoperta importante è la capacità delle piante di trasmettere la loro esperienza alle generazioni successive attraverso l’epigenetica. Questo passaggio di informazioni è molto evidente nelle piante selvatiche che si sviluppano in un ambiente naturale ricco di diversità biologica e foriero di continui cambiamenti. Ci si potrebbe chiedere se piante annuali soggette ad una consistente selezione artificiale mantengano inalterati i meccanismi adattativi che caratterizzavano i loro genitori ancestrali”. 

Sempre nel suo talk parla di “nuovi mondi da colonizzare”; ciò implica che le piante possano rendere un luogo abitale all’uomo (tramite trasformazione da CO2 a O2)? È l’uomo che funziona secondo una propria legge “autonoma”, o è ancestralmente portato a replicare la natura ma questa peculiarità è stata dimenticata? 

“La realizzazione di sistemi ecologici artificiali in cui ricreare condizioni ambientali simili a quelle terrestri è da sempre un obiettivo dell’esplorazione spaziale. Tuttavia, lo Spazio è un ambiente ostile per la crescita degli organismi. Un esperimento promettente è stato quello eseguito sulla sonda cinese Chang’e Project: hanno creato un microecosistema lunare contenente uova di drosofila e baco da seta, lieviti e semi di alcune piante, tra cui la patata. L’idea era che questi organismi potessero sostenersi l’un l’altro grazie allo scambio di diossido di carbonio, ossigeno e sostanze nutritive. I semi sono germinati. 

Quindi insetti e piante sono cresciuti su un satellite naturale della Terra. Questo apre alla possibilità di realizzare biosfere sostenibili al di fuori del nostro pianeta.” 

In chiusura del suo Ted, professore, lei dice: “Non può funzionare tutto come noi”: ma come funziona l’uomo? 

“L’essere umano osserva il mondo da una sua prospettiva, è come se fosse la misura del tutto. Tutto ciò che si avvicina a noi è bene, tutto quello che si allontana denota una sorta di inferiorità. L’organizzazione che caratterizza l’essere umano è verticistica e anche molto semplice, con un cervello che comanda e organi specializzati. Una organizzazione di questo tipo però è fragile. Non è necessario un danno al cervello per far crollare tutto; basta un danno ad uno degli organi. Una pianta, invece, è completamente diversa, fa tutto con tutto. Il problema è che dovremmo smettere di guardare alle piante come animali ‘difettosi’. Se continueremo con questa visione non capiremo mai la complessità di questi esseri viventi, e delle piante: non un ammasso verde, ma una forma di vita intelligente”. 

di Damiano Martin