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Fino a quando le piccole imprese non saranno convinte della necessità della transizione energetica, l’Italia non potrà essere considerata tra i Paesi incamminati verso gli obiettivi mondiali di sostenibilità. Le PMI sono la spina dorsale della 7^ potenza economica del mondo con un solido 80% di aziende con meno di 10 dipendenti. Chi e cosa può convincere i piccoli imprenditori che la rivoluzione verde è irreversibile ? La competizione, il mercato, i consumatori, lo Stato. Ma è quest’ultimo che, a mio avviso con strumenti appropriati può portare migliaia di piccoli imprenditori sulla strada di una rivoluzione, alla quale- beninteso – non mancano difetti.
Qualche giorno fa il Ministro delle Imprese e del Made in Italy , Adolfo Urso, ha firmato un decreto che assegna 320 milioni di euro alle PMI per consentirgli di produrre energie pulite. Un segnale rassicurante che va colto, soprattutto in alcune aree del Paese. I fondi arrivano dal Pnrr e , come stabilito in origine, il 40% vanno ad Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. È in queste Regioni, purtroppo, che l’adeguamento di processi e strutture in modo sostenibile ha un passo lento. Il Sud ha grandi potenzialità e inventiva, molte aziende competono con buoni risultati con imprese straniere, ma rischia una definitiva decrescita se non affronta in modo rapido il cambiamento tecnologico ed energetico. I fondi del Ministero sono contributi in conto impianti per l’autoproduzione di energia elettrica da strutture fotovoltaiche o mini eoliche. È un’opportunità nel panorama degli aiuti pubblici che, tuttavia, non deve connotare la spinta (auspicata) della piccola imprenditoria meridionale come un’ economia assistita. Da questo punto di vista ce n’è già abbastanza.
Il decreto di Urso assegna il 30% dei fondi alle medie imprese, il 40% alle micro e piccole, il 30% per l’eventuale stoccaggio di energia elettrica, il 50% per la diagnosi energetica. Per una sola unità produttiva sono ammesse spese da 30 mila a 1 milione di euro. Sono soldi che possono fare la differenza in un panorama che conta differenze significative tra Nord e Sud anche nei consumi di energia. Nel 2023, il consumo elettrico dell’Italia è stato di 305 Terawattora con un calo del 3,2% rispetto al 2022. Tutta l’industria ha risentito dei prezzi al rialzo e delle turbolenze dei mercati. Ma le PMI non sono state attratte dalla rivoluzione come ci si poteva aspettare. Abbandonare gas o petrolio nelle lavorazioni richiede investimenti di lungo periodo che in un economia globalizzata aumentano il livello di rischio. Di fatto in Italia i consumi energetici delle piccole imprese incidono notevolmente sui consumi nazionali, data, appunto, la grande quantità di fabbrichette e laboratori. Il decreto del Ministero va, dunque, utilizzato al massimo, come ogni altra forma di sostegno non a casaccio, perché bisogna convincersi tutti che senza “rifornimenti” adeguati nessuna rivoluzione raggiungerà la vittoria.

 

di Nunzio Ingiusto