Categorie: Editorial
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Un recente studio [1] pubblicato sulla famosa rivista Nature Climate Change ha esplorato il potenziale impatto sulla riduzione delle emissioni di gas serra (GHG) di un cambiamento globale legato al sistema alimentare e in particolare ai vari tipi di diete. Questo lavoro, condotto da un team internazionale di ricercatori, ha valutato come le “emissioni alimentari” variano tra i diversi paesi e gruppi di popolazione, utilizzando dati dettagliati sui consumi domestici di 140 prodotti alimentari in 139 paesi. La ricerca ha anche modellato l’impatto delle emissioni derivanti da un’ipotetica adozione globale della “dieta planetaria” promossa dalla EAT – Lancet (rivista di medicina generale leader nel mondo), commissione composta da 37 scienziati di fama mondiale provenienti da 16 Paesi e appartenenti a diverse discipline scientifiche. L’obiettivo della Commissione è raggiungere un consenso scientifico definendo obiettivi per una dieta sana e una produzione alimentare sostenibile. La “dieta planetaria” invece è un tipo di alimentazione caratterizzato da una varietà di cibi vegetali di alta qualità e basse quantità di alimenti a base animale, cereali raffinati, zuccheri aggiunti e grassi malsani, progettato per essere flessibile e per adattarsi a situazioni locali e individuali, tradizioni e preferenze dietetiche. Secondo la commissione EAT l’adozione globale di questa dieta sanitaria planetaria fornirebbe importanti benefici per la salute e tutelerebbe maggiormente l’ambiente; tuttavia, ha subito nel corso degli anni parecchie critiche e perplessità da parte di ambientalisti e nutrizionisti [2].

Il sistema alimentare globale contribuisce a circa un terzo delle emissioni antropogeniche di GHG, e il raggiungimento degli obiettivi climatici globali (o sustainable development goals SDG’s) appare impossibile senza una significativa riduzione delle emissioni legate al cibo. Per questo motivo il Dipartimento degli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite ha deciso di titolare l’obiettivo 2 di questi SDG’s “Zero Hunger”, che intende porre fine alla fame, garantire la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile. 

Non tutte le popolazioni però contribuiscono in egual misura a queste emissioni, a causa di differenze nello stile di vita, nelle preferenze alimentari e nelle possibilità economiche. A livello globale, infatti, si evidenziano i seguenti dati [3]: nel 2022 quasi 1 persona su 10 della popolazione mondiale ha dovuto far fronte a livelli totalmente inadeguati di cibo, mentre 2,4 miliardi di persone hanno sperimentato un’insicurezza alimentare da moderata a grave. Nello stesso anno, quasi il 60% dei Paesi del mondo ha registrato aumenti significativi dei prezzi dei prodotti alimentari a causa di conflitti e catene di approvvigionamento interrotte. In generale il numero di persone che affrontano la fame e l’insicurezza alimentare è in aumento dal 2015, con la pandemia, i conflitti, i cambiamenti climatici e le crescenti disuguaglianze che aggravano la situazione [4]. Nel 2022, circa il 9,2% della popolazione mondiale ha affrontato la fame cronica (condizione che si verifica quando una persona, per un periodo di tempo prolungato, non riesce a consumare abbastanza cibo per pensare, muoversi, lavorare. In altre parole: per vivere un’esistenza dignitosa [5]), pari a circa 735 milioni di persone, 122 milioni in più rispetto al 2019 [4]. Si stima che il 29,6% della popolazione mondiale, 2,4 miliardi di persone, fosse moderatamente o gravemente insicuro dal punto di vista alimentare, ovvero non avesse accesso a cibo adeguato. Questa cifra rappresenta un allarmante aumento di 391 milioni di persone rispetto al 2019 [4].

Nonostante gli sforzi globali, nel 2022 è stato stimato che 45 milioni di bambini sotto i 5 anni abbiano sofferto di deperimento, 148 milioni abbiano avuto una crescita stentata e 37 milioni invece fossero in sovrappeso. 

Per raggiungere gli obiettivi posti dall’SDG numero 2 entro il 2030 è quindi indispensabile un’azione coordinata e urgente e soluzioni politiche per affrontare le disuguaglianze radicate, trasformare i sistemi alimentari, investire in pratiche agricole sostenibili e ridurre e mitigare l’impatto dei conflitti e della pandemia sulla nutrizione e sulla sicurezza alimentare globale.

  Lo studio [1] ha rivelato significative disuguaglianze nelle emissioni alimentari sia tra paesi diversi che all’interno di essi [Fig.1]. I consumatori con redditi più alti tendono a generare maggiori emissioni alimentari, soprattutto a causa di un maggiore consumo di carne rossa e latticini. Queste differenze sono più marcate nei paesi a basso reddito, dove le emissioni sono fortemente influenzate dalla maggiore dipendenza da alimenti di base come cereali e tuberi.

I ricercatori hanno ipotizzato uno scenario in cui tutti adottano la dieta planetaria della Commissione EAT-Lancet menzionata precedentemente. I risultati indicano che l’adozione globale di questa dieta potrebbe ridurre le emissioni alimentari del 17%, con una diminuzione significativa delle emissioni nei paesi ad alto reddito, come l’Australia e gli Stati Uniti [1]. Tuttavia, nei paesi a basso e medio reddito, come quelli dell’Africa subsahariana, l’aumento del consumo di cibi più nutrienti porterebbe a un incremento delle emissioni [1].

Il cambiamento dietetico globale potrebbe quindi non solo contribuire alla salvaguardia del Pianeta, ma potrebbe anche affrontare problemi di salute legati alla malnutrizione e all’eccessivo consumo di cibo in alcune parti del mondo. Tuttavia, l’adozione di una dieta più sostenibile richiederà politiche su misura per diversi contesti regionali ed economici, poiché le soluzioni universali potrebbero non essere efficaci ovunque. 

In conclusione, lo studio evidenzia la necessità di una trasformazione del sistema alimentare globale che includa modifiche delle abitudini alimentari come parte integrante delle strategie di mitigazione del cambiamento climatico. Tuttavia, tale trasformazione deve essere attuata con attenzione per evitare di esacerbare le disuguaglianze esistenti e garantire che i benefici siano distribuiti equamente a livello globale. 

di Pietro Boniciolli

 

 

 

Bibliografia

[1] Li, Y., He, P., Shan, Y. et al. Reducing climate change impacts from the global food system through diet shifts. Nat. Clim. Chang. (2024). https://doi.org/10.1038/s41558-024-02084-1

[2] https://www.isde.it/wp-content/uploads/2019/04/EatLancet-7-11.pdf

[3] https://sdgs.un.org/goals/goal2#progress_and_info

[4] https://unstats.un.org/sdgs/report/2023/Goal-02/

[5] https://adozioneadistanza.actionaid.it/magazine/fame-cronica/