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“It is more about connecting human beings; it doesn’t matter from where are you from.”

(Flore Pineau)

Questione di esseri umani. Di corpi, di sensazioni e di sentimenti. Quanti pensieri, parole e opinioni sfumano e cambiano, in base alle circostanze e alle situazioni. Allo stare in uno spazio fisico e tangibile, che si può ampliare o ridurre, adottando una scala geografica. Un frattale: la società che riflette la frazione di un’unità speculare, ma più piccola. Una comunità riflettuta su un’altra, ma minore, quasi improvvisata, fatta di italiani, francesi, spagnoli, polacchi, sloveni, cechi, lettoni, greci, tedeschi, slovacchi. E poi il tempo: quasi due settimane, insieme, nella semi-sperduta campagna francese tra Lione, Tolosa e Bordeaux, nell’eco-villaggio di Chartrier-Ferrier fatto di terra rossa ed erba alta, di un piovoso cielo plumbeo e di notti prive di luci, dove ancora la via lattea è visibile. “Look, there’s the Milky Way tonight! I’ve never ever seen that in my life!”.

Progetti come questi, come Sense Your Way, accadono nell’Europa del Terzo millennio – per quanto maldestra, per quanto contorta. Sono gli Erasmus+ Training Courses, che insieme agli Youth programs incentivano i giovani del vecchio continente, dai 14 anni in su, a radunarsi, a incontrarsi per più giorni – si va dal minimo di una manciata di giorni, a progetti lunghi anche otto settimane – per conoscersi, misurarsi, confrontarsi con la comunità e per la Comunità, più grande, Europea.

Questi trainings sono pensati per i lavoratori maggiorenni che vogliono condividere il loro lavoro, le proprie expertise, i loro aneddoti di vita (sociale). A mediare, tra Europa e giovani, le varie associazioni europee, i collettivi di formatori ed educatori sociali che scrivono i loro progetti, li propongono al bando di selezione e finanziamento europeo, e una volta ottenuti i fondi organizzano l’esperienza, selezionando i partecipanti in base alle loro motivazioni, al loro lavoro, ai loro interessi. Così è accaduto per Sense Your Way mediante Terre de Nauges, che ha promosso l’esperienza tramite la figura organizzativa di Flore, responsabile del progetto insieme a Claire e Antonio.

Flore, what are the purposes of training courses like Sense Your Way?

“To give tools and share knowledge, in order to expand the experience of the participants. We offer the possibility, as any other, to have an immersive training, learning by experience, and feeling new ways of leading a group, for example. These kind of trainings are also good for participant’s professional levels.”

Educazione professionale e soprattutto non-formale. Queste iniziative consentono di (ri)scoprire nuovi confini dell’essere umano, un sentire diverso rispetto a quel che (non) sentiamo nella nostra frenetica routine quotidiana. Una vita lenta, il rispetto degli spazi comuni, la condivisione di sensazioni ed emozioni, la cura per l’altro. Nel caso di Sense Your Way, l’attività è avvenuta tramite il movimento e la danza, esercizi di somatica e di correlazione tra i sensi, e mediante la voce e il canto di canzoni popolari e di mescolanza di suoni e di intonazioni. I facilitatori guidano i partecipanti nelle loro proposte e incentivano gli stessi a proporre le loro attività – teatro d’improvvisazione, estatic dance, consensual activities e cuddle parties – non solo con l’idea di condividere, ma anche per il piacere di stare assieme. O di tentare una sorta di, un piccolo laboratorio di “sostenibilità sociale”.

Speaking of Sustainable society, Flore: how is it for you? What do you think about it?

“I don’t know the answer, but I have some questions about that. How I would like to be the planet when I won’t be there anymore? How the society could live in the best way? I think it is a matter of finding new ways of being and sensing, in order to understand each other and grow together, and not damage the planet and relationship with people. It is a matter of how we share the resources between human beings, trying to be equal.”

La stessa aspirazione è la medesima a cui si ispira l’eco-villaggio Oasis des Âges, l’antico hameau di Chartrier-Ferrier divenuto oggi luogo un laboratorio sociale per una vita magari non migliore, ma diversa. Oasis des Âges è una manciata di casupole e il sogno, da due anni a queste parte, di cinque giovani francesi che hanno deciso di investire 1 milione di euro per prendersi cura di loro stessi e della campagna, di vivere secondo ritmi diversi, più “naturali”. Qui i bagni sono compostabili: al posto dello sciacquone, si coprono gli escrementi con il terriccio e si portano poi nella fossa compostabile. Le vecchie case del villaggio vengono ristrutturate per ospitare viandanti e piccole comunità in viaggio, dove possono disporre di cucina e sala da pranzo, di una biblioteca e di una stanza “per lo yoga”, di un piccolo teatro dove gestire le proprie attività. Il piccolo café adiacente è self-service, si basa sulla fiducia di chi vuole acquistare e vende solo prodotti biologici. I proprietari, invece, se non hanno preso possesso di una delle case antecedenti, vivono in piccoli oblò di legno sulla terra circostante.

Here, in an almost nowhere place, with so many different cultures: how is it, Flore?

“Is the other, big purpose, of these training courses is: how can we mix different communities and gather them and share skills, and how can we help to be together with different cultures. But for me, is more about connecting human beings, it doesn’t matter from where are you from. We work on a different layer, where the first one is the somatic space. The culture is not the most important point (there are other projects where culture is).”

Ed è questo uno dei punti centrali, su cui ruota l’idea di una Unione Europea. La difesa culturale, delle proprie tradizioni, del proprio sentirsi all’interno di una nazione, spesso, eppure non rendersi conto che è proprio la mescolanza di culture, di pensieri, che ci tiene vivi come comunità di esseri umani. I progetti europei sono questa occasione: il tentativo di creare una cultura europea, senza prima pensarla: vivendola. E come ogni dinamica di vita, capitano le incomprensioni, i dissidi, le simpatie e le antipatie. Non si tratta di evitarle, ma di riconoscerle e di accettare la diversità, di sapere che c’è sempre una possibilità di risolvere un problema preservando le idee e gli spazi di tutti. È la sottile differenza tra l’essere ottimisti e pessimisti:

What about the world and the pessimism about it: how’s the reaction from you, Flore?

“Well, my first thought is: ‘Ok, there’s a lot of shit!’ but the point is not avoiding it, but look at what is still beautiful, and what action can bring us to that beauty; otherwise I will be sad if I stick to the pessimism side, and that’s unpleasant, and useless.”

Questione di esseri umani, alla fine. E di come si vuole agire e reagire. E di quale comunità si vuole far parte, e costruire, insieme a qualcuno. Qualcosa di sostenibile, non solo, sempre, per i nostri portafogli; soprattutto per la nostra vita comune e comunitaria, per la nostra vita sociale.

di Damiano Martin