Nella quotidianità diamo per scontata l’acqua. Un colpo di rubinetto, e sgorga nelle nostre case. Un bene onnipresente, reperibile ovunque, tra bar e supermercati, in comode bottiglie di plastica. Comune, tra fontanelle qui e lì, sparse per parchi e città. Siamo, da oltre un secolo a questa parte, la civiltà che ha “imbottigliato l’acqua”, piegandone disponibilità e potenza alle nostre comodità. Dare per ovvia e scontata la presenza di una risorsa ci porta a dimenticare quanto questa sia fondamentale per le nostre esistenze. Nel caso dell’acqua siamo ben oltre il “fondamentale”: la storia del genere umano è intrecciata all’acqua, e senza acqua non sarebbe nemmeno stata possibile.
Oltre l’ovvio – e non banale – fattore biologico, vi è un fattore di civiltà e di cultura, di economie e di società. Ce lo insegnano tra le prime nozioni alle scuole elementari, quando attraversiamo Sumeri, Babilonesi e Assiri, incastrati nella “mezzaluna fertile” tra i fiumi Tigri e Eufrate. È l’origine della “vita civile” nella Mesopotamia di migliaia di anni fa, dove si attestarono le prime forme di scritture e le prime invenzioni “concettuali” come la ruota: in mezzo ai fiumi e nell’ombelico del mondo. Un sole sorto ad est e che gradualmente si sposta, nel suo arco celeste, verso mezzogiorno.
Chi non ricorda il limo, quella sorta di humus naturale in grado di ingrassare le terre dell’antico Egitto proveniente dalle esondazioni annuali del fiume Nilo? La storia etico-politica dell’uomo si spostò nel nord Africa, alla foce di uno dei più grandi corsi d’acqua del mondo (ancora oggi), dove il genere umano continua ad affascinare i posteri tra architetture inspiegabili, mitologie religiose e scritture iconiche, oltre che iconografiche. È sempre l’acqua a scorrere tra le civiltà indoeuropee e africane, portandosi poi nel mar Mediterraneo: prima Creta, poi la Grecia, la civiltà minoica e gli Achei, il dominio terrestre ma soprattutto navale, tra le isole dell’Egeo e dello Ionio.
Fino all’apogeo imperiale per eccellenza: dall’Italia al continente africano, fino al mar Nero e ai mari del Nord. L’egemonia dell’impero romano, iniziata dal fiume Tevere, giunge ai confini marittimi dell’Europa continentale e coincide con le rotti mercantili attorno all’intero bacino mediterraneo e oltre, verso gli stretti del Bosforo e del Dardanelli, appena oltre le colonne d’Ercole per risalire le coste iberiche. L’impronta romana alle rotte commerciali segna la storia dei successivi mille e cinquecento anni, e per coincidenze fortuite (o forse no) sarà propria la città acquatica per eccellenza a ereditare le trame marittime: i viaggi della Repubblica di Venezia porteranno l’occidente in oriente e viceversa, preparando la strada alle grandi navigazioni rinascimentali.
I vichinghi probabilmente, con qualche secolo d’anticipo; e poi Bartolomeo Diaz, Cristoforo Colombo, Amerigo Vespucci, Giovanni Caboto fino a Ferdinando Magellano. L’Europa a cavallo tra Quattrocento e Cinquecento si apre alle rotte atlantiche: si scoprono nuove terre, si instaurano nuove rotte commerciali. I grandi navigatori si spingono oltre il corno d’Africa e fino al nuovo continente, in quel che si potrebbe definire come primo atto di globalizzazione sul pianeta blu. Oltre l’infinita distesa d’acqua atlantica si estende la storia: la colonizzazione americana, il triangolo commerciale tra le coste continentali dell’oceano, l’estensione marittima all’India con la cirgumnavigazione di Capo Nord dall’altro lato. L’epopea olandese nel sud-est asiatico e la creazione della Compagnia delle Indie Orientali.
Il commercio e l’economia sono sempre più preponderanti nella vita politica delle civiltà, e il progresso vola sul pelo dell’acqua. Un progresso portato non solo dai vantaggi, ma dai limiti posti dall’acqua stessa. A metà dell’Ottocento si inizia a “tagliare la terra”, per connettere bracci di mare: a Panama prima, a Suez poi. La creazioni delle dighe hanno imposto nuovi confini al mare, tra l’impresa dei Paesi Bassi dei polder, ovvero il furto di terra al mare partito già dal XI secolo e culminato nel 1932 con la grande diga Afsluitdijk: 32 km e una larghezza di 90 metri che bloccano il mare del Nord. Quarant’anni più tardi viene inaugurata la diga di Assuan, di nuovo sul fiume Nilo, per regolare la portata del corso stesso.
È il segno di una civiltà che non si adegua solo ai suoi limiti naturali, ma li prevarica e li modifica secondo il proprio bisogno. Un potere enorme, dato dall’abilità tecnica acquisita nel corso dei secoli, che ha comportato un’inconsapevole responsabilità, fino allo storia contemporanea, così come la conosciamo. Da un lato, il surriscaldamento terrestre sta portando alla siccità, alla rarefazione dell’acqua e alla sua nuova definizione di “oro blu” – con le conseguenti criticità a cui stiamo già assistendo. Dall’altro lato, la stessa tecnica che può portare a una risoluzione, tra desalinizzazioni marine e cattura di umidità nell’aria. Se il rapporto tra umanità e acqua ha segnato la storia del pianeta Terra, si tratta di leggere il passato e il presente per indovinare, o disegnare, quel che sarà il futuro: dall’adattamento alla ricerca, dal problema alla soluzione. La vita dell’essere umano, sempre e comunque, passerà per un’unico elemento: a grandi bracciate, immerso nell’acqua.
di Damiano Martin