La dendocronologia è lo “studio dell’accrescimento degli anelli nei tronchi degli alberi”. O, in altre parole, è la resa scientifica di quell’aneddoto giocoso, insegnato ai bambini, di contare quanti cerchi ci sono nel legno, per scoprire quanto vecchio è. La crescita della vegetazione segue l’andamento delle stagioni: tra primavera e estate l’albero sta bene, e la texture cellulare del tronco si mostra chiara, organizzata, delineata. Via via, il freddo si avvicina: le cellule si avvicinano, si stringono, si rimpiccioliscono, sfumano in una linea netta, scura e circolare. E così, di anno in anno, le piante crescono e fanno esperienza del mondo, registrando ciò che accade attorno.
Da questi movimenti concentrici è possibile leggere la memoria degli alberi. Il carotaggio dei tronchi, la sincronizzazione dei diversi campioni e la comparazione con i dati storici delle temperature permettono di verificare da un lato i cambiamenti climatici, dall’altro il comportamento stesso degli alberi e delle foreste. È cio che ha studiato, per la propria tesi di laurea in Scienze forestali e ambientali, Michele Frasson. Titolo: L’influenza dei fattori climatici nella crescita del larice, dell’abete rosso e del pino cembro lungo un gradiente altitudinale; area di ricerca, il Parco Naturale di Cortina d’Ampezzo, sul massiccio montuoso di Croda da Lago. Michele Frasson diventa dottore forestale nel 2006, in un lavoro che precorre, a suo modo, gli interrogativi ambientali che ci poniamo ora, 18 anni dopo.
“Gli alberi confermarono un cambiamento climatico attivo, una ‘registrazione intelligente’. Non si tratta di una risposta immediata”, racconta Michele, “ma l’indicazione di un andamento molto attinente alla realtà dei fatti e del momento vissuto. Particolarmente interessante è il larice: una conifera che si comporta come un latifoglia, sa di dover perdere gli aghi per resistere a una condizione estrema. Gli alberi riescono a registrare eventi significativi e composti, come l’anno senza estate del 1816, dove venne a mancare la luce solare a causa di un’eruzione vulcanica. Le piante che ho studiato nel 2006 si collocavano sul limite superiore altitudinale, oltre i 1500 m, dove il bosco via via si dirada. L’analisi sulle fasce altitudinali serve per vericare la risposta in un gradiente di criticità”.
Gli alberi, quindi, crescono, cambiano, si evolvono, e migrano. Ciò dipende dal clima, dal suo andamento, e in generale dai fattori naturali e antropici. “Il cambiamento climatico esiste da sempre, è storia. A fine Ottocento siamo giunti al termine dell’ultima piccola glaciazione. Da qui, il concorso di ‘colpe’ tra l’innalzamento climatico delle temperature e gli effetti della Rivoluzione industriale ha incrementato il calore e i livelli di anidride carbonica. Paradossalmente, una situazione di benessere per le piante, che va a influenzare la distribuzione delle stagioni nell’arco dei 12 mesi”, spiega Frasson.
Come i cerchi degli alberi, Michele ha allargato i propri orizzonti, portandolo, da quel 2006, a lavorare in Gabon, per un’azienda italiana, nell’ambito della gestione forestale e la conseguente vendita di legname. “Un’esperienza breve, ma importante; lì ho vissuto la foresta equatoriale, ho scoperto un mondo del legno molto più complesso e difficile rispetto all’ambiente europeo. Un ambiente in cui vige ancora il colonialismo, dove non si attua il paradigma ‘dell’aiuto in casa loro’ e ancora si perpetra lo sfruttamento egoistico per l’uomo, bianco”.
“Ma è in questi boschi – continua a raccontare – dove inizia la catena di valori ambientali, sociali ed economici che formano l’industria del legno e della carta: ridare dignità al materiale per riconsegnare consistenza sociale agli abitanti di quei luoghi, secondo un giusto corrispettivo economico, e assicurarsi che tutto ciò che esce da lì abbia delle garanzie e una continuità nel tempo”. Una continuità che, fuori dalla sua giurisdizione arborea, diventa una responsabilità dell’essere umano. Dopo aver attraversato gli ambiti economico-aziendali e tecnico-direzionali, Michele Frasson ‘ritorna’ all’amore per il legno (nel 2012), entrando nel mondo delle certificazioni, accreditandosi come auditor freelance per il FSC® – Forest Stewardship Council e il PEFC – Program for Endorsement of Forest Certification scheme.
“FSC® e PEFC, nati rispettivamente nel nord d’America e d’Europa, alla fine dello scorso secolo – spiega Michele – sono enti non governativi il cui obiettivo è dirigere e redigere gli standard di gestione forestale e di catena di custodia dei prodotti derivati. In altre parole, stabiliscono i parametri che le aziende devono rispettare per svolgere un lavoro sostenibile e responsabile nelle foreste, con la conseguente tracciabilità del legno, da materia prima a destinazione d’uso finale”. Il mestiere di auditor, per conto di enti terzi, s’innesta tra il mercato europeo della Timber regulation, che controlla i movimenti di import-export del legno, e il nuovo regolamento EUDR del 2023, contro l’impatto dei consumi sulla deforestazione.
“Mi occupo prettamente di controllo della catena di custodia nelle aziende, ovvero dalla prima trasformazione del materiale che esce dal bosco in poi. Mi accerto sull’origine del legno – spiega il dottor Frasson – conforme a quanto dichiarato, e dei successivi parametri di utilizzo nelle varie fasi di lavorazione”. Il suo lavoro si svolge principalmente in Italia, in quanto madrelingua italiano, per le aziende italiane (come da regolamento). Se poi queste hanno sedi all’estero, o manca un auditor madrelingua ufficiale, Michele viaggia: dalle foreste di quercia da sughero portoghesi, ai boschi dell’est europeo, fino alle aziende greche di lavorazione del legno.
L’obiettivo è portare il ritmo dell’uomo, economico-aziendale, allo stesso battito della gestione naturalistica, che segue i tempi naturali della foresta. “Si sta andando in questo senso, cercando di sensibilizzare l’utente finale (soprattutto le persone comuni) ad acquistare prodotti certificati. Siamo circondati di prodotti etichettati FSC® o PEFC, eppure la gente non ne è consapevole. Manca ancora una comunicazione sensibile, oltre i termini economici, che possa incentivare la migliore gestione forestale possibile, con quel che ne consegue in termini sociali e ambientali”.
Ciò vale tanto per le foreste, quanto per il verde urbano, di cui non dovremmo scordarci. “Nelle città, il verde è sempre meno. C’è poca cultura in questo senso, si ha paura delle grandi piante, quando invece non ci si rende conto di quanto potrebbero rendere più vivibile l’ambiente urbano, per qualità dell’aria, temperatura, presenza di avifauna. Si dovrebbero studiare meglio gli elementi arborei più adatti alla città, e al tempo stesso adattare il cemento alle piante già esistenti. Spesso – continua Michele – gli alberi urbani sono curati male: la capitozzatura della chioma, per esempio, indebolisce le radici, crea disequilibri, rischia di far cadere grandi tronchi. Gli errori forestali, purtroppo, si pagano nell’arco di secoli, e servono dunque piani decennali di gestione”.
Data la consapevolezza che l’uomo ha nei confronti del mondo vegetale – e Michele Frasson ne è un esempio – si tratta dunque d’imparare, e ricordare, ciò che gli alberi possono insegnare all’essere umano. “Più che dagli alberi – precisa – possiamo imparare da un bosco: a crescere in equilibrio, tra molti altri e diversi, nel rispetto di tutti. Un bosco è fatto di specie legnose differenti, con caratteristiche specifiche, dove non c’è supremazia, ma avvicendamento, a seconda del tempo che scorre. La grande pianta procura ombra alla più piccola, per poi lasciarle spazio; e sotto il bosco, l’insieme di animali, insetti, funghi contribuiscono insieme all’equilibrio”. Una serie di cerchi concentrici, man mano sempre più larghi, che ci ricordano come un mondo simbiotico sia possibile. E la traccia che viene lasciata nei tronchi delle piante, nel linguaggio dell’essere umano lascia segni, nel mondo.
di Damiano Martin