Si legge “101Ò”, si pronuncia “yoyo”: una ruota rotante attorno a un filo, che si estende e si accorcia in base alla forza applicata, all’intelligenza trasmessa dagli esseri umani, per gli esseri umani. Al centro del rapporto, un altro tipo di intelligenza, oggi giorno sulla bocca – e nella testa – di tutti: quella artificiale. La IA applicata all’ambito dello human resources, per supportare e contribuire al miglioramento della gestione, della formazione e dello sviluppo aziendale di quest’ultime, e che ci riguardano direttamente.

Uno yoyo che gira e si estende tra due intelligenze, si diceva. E da qui 101Ò: “un chatbot, una guida, ma anche un potenziale collega, che aiuta le figure del mondo delle risorse umane – HR manager, formatori, coach – a utilizzare gli strumenti dell’intelligenza artificiale”. Sono le parole di Chiara Milani, learning designer e specialist dell’area People management di Fòrema, l’agenzia di formazione e consulenza aziendale di Padova. Psicologa del lavoro, la dottoressa Milani si occupa di scrittura dei percorsi formativi per le imprese, e fa parte del team AI Development che ha progettato e scritto il manuale “AI Experience con 101Ò”: una guida ‘in divenire’ che ha come scopo l’accompagnamento all’esplorazione il mondo della IA, applicata al settore HR.

Ma cosa significa applicare l’Intelligenza artificiale alle risorse umane?

“È un tema che mi sta molto a cuore. Quando parliamo di IA si tende a esprimersi in termini di professioni che diventeranno obsolete, e di paura in generale – spiega la dott.ssa Milani – ma non è vero che ci sostituirà tutti. Applicare questa tecnologia nel campo delle risorse umane ne è un esempio: siamo nel campo della gestione, e in questo rapporto l’Intelligenza artificiale può essere un supporto molto grande per liberare tempo da investire con le persone. Alla IA possiamo delegare attività ripetitive e di ‘basso valore’, per guadagnare tempo”.

Il manuale su 101Ò si divide in due parti: la prima, generale e divisa in due capitoli, introduce l’argomento che mette in relazione la IA e le risorse umane e spiega il metodo di lavoro utilizzato dal team di sviluppo. La seconda, composta da altre quattro sezioni, si rivolge direttamente ai diversi, potenziali, utilizzatori, mediante esempi di applicazione – richiesta e interazione – con la IA. Concetto cardine, del libro e dell’uso di 101Ò, è il concetto di “storia agile”, che ha permesso alla prova un metodo di approccio efficace.

“La storia agile – spiega Chiara Milani – è come dice il nome una breve storia da sottoporre alla IA, dove si identificano l’azione da svolgere, l’obiettivo e il perché. Questo permette di ‘spacchettare’ le diverse task da svolgere (da manager, formatori, coach), intervenendo in maniera mirata con il software più adeguato per svolgere un dato lavoro: per esempio, Writesonic nella scrittura progetti, Kahoot per i test e i quiz di valutazione, Slack per la gestione del lavoro aziendale”.

Non c’è il rischio che ‘l’agilità’ ecceda nella semplificazione nel rapporto IA-formatore?

“È vero che le storie sono molto brevi – risponde Chiara – ma ricordiamoci che lavorano su pezzi molto piccoli del lavoro. Se l’attività si compone di 15 azioni semplici, ognuna avrà una sua storia agile. Una storia agile non sarà mai l’intero prompt (input dato alla IA) di attività lavorativa: il concetto di agilità sta nella sua scomposizione”.

L’Intelligenza artificiale, e nello specifico 101Ò, ragiona per “ovvietà” che all’essere umano sfugge, o per  “originalità” della IA medesima?

“Direi più il primo caso. La IA è un grande supporto nell’identificare ciò che all’occhio umano sfugge. Nel coaching, per esempio, la IA può far emergere degli aspetti di cui il coach stesso non si era reso conto, o non vi aveva posto attenzione. Tuttavia – continua la dott.ssa Milani – l’intelligenza dell’Intelligenza artificiale dipende dalla nostra, di intelligenza: è l’essere umano che deve porre le domande in modo intelligente e corretto, seguendo le regole di utilizzo del prompt engineering. In questo specifico ambito, bisognerebbe apprendere come relazionarsi con la IA. Per esempio, io tengo molto a rapportarmi con gentilezza al mio chatbot: definire chi siamo e cosa facciamo, assegnare un ruolo alla IA, dare informazioni dettagliate”.

101Ò è il collega artificiale di Fòrema, pensato per supportare le aziende clienti, ma allo stesso tempo vuole essere un incentivo per le stesse a creare il proprio chatbot, il quale si possa specializzare nell’impresa di cui fa parte e aiutare specificatamente i dipendenti all’interno di queste. L’utilizzo della IA è molto forte nell’ambito delle hard skills e delle competenze tecniche, perché più specifiche e ben definite. “Quando parliamo di soft skills, parliamo di comportamenti; quando abbiamo a che fare con le persone, queste sono uniche e diverse. Anche se trattiamo lo stesso concetto, ognuna e ognuno avrà il proprio modo di rapportarsi a esso. Ci sono talmente tante variabili che esulano dal mondo delle macchine, le quali mi portano a dire che il campo delle soft skills, delle relazioni umane, rimarrà ad appannaggio degli esseri umani. Penso sia difficile insegnare a una macchina come vive una persona: l’emozione della rabbia, della gioia, come sento la gentilezza. È qualcosa che si può simulare, ma non vivere” chiosa Chiara Milani.

101Ò, ovviamente, continua a crescere e a svilupparsi, incrementando la mole di dati e l’esperienza a cui è sottoposta. Ci sarà, dunque, un seguito: “Stiamo definendo gli ultimi dettagli per un secondo step del percorso iniziato nel 2024; continuiamo ad aggiornare il chatbot, per accrescere le sue competenze. E probabilmente, scriveremo un altro libro”. L’Intelligenza – umana e artificiale – continua a roteare dunque, sul filo della ragione, avanti e indietro, alimentando la conoscenza reciproca e la voglia di scoprire. Continua a vorticare, come uno 101Ò, per migliorare il lavoro degli esseri umani.

 

di Damiano Martin