In questa intervista esclusiva, Mélissa Godin ci racconta come ha esplorato il nesso tra crisi climatica e questione di genere in Malawi nel suo documentario Daughters of Drought.
Per chi non avesse visto il documentario, ci puoi raccontare di che cosa tratta?
Mélissa Godin: Daughters of Draught parla del modo in cui il cambiamento climatico impatta la vita delle donne nella regione meridionale del Malawi. Per chi non conoscesse il Malawi, si tratta di un paese che dipende fortemente dall’agricoltura per la sua sussistenza ed è uno dei paesi più poveri del mondo.
In questo contesto, le donne hanno gravose responsabilità familiari legate alle risorse naturali siccome è loro compito procurare acqua e legname. Come abbiamo visto, la siccità e le inondazioni sono aggravate dal cambiamento climatico e di conseguenza le donne incontrano maggiori difficoltà nel reperire queste risorse. Questo significa che ogni giorno trascorrono a volte da tre a cinque volte più tempo di prima cercando di svolgere questi compiti.
Inoltre, trattandosi di un paese con un alto livello di disuguaglianza di genere, le donne si trovano a fronteggiare anche altre difficoltà legate alle situazioni emergenziali. Quando il paese è colpito dai cicloni, ad esempio, si ritrovano a vivere in campi di aiuto umanitario dove è più difficile ricevere protezione.
Nuove prospettive
Cosa ti ha ispirata a lavorare su questo tema?
Mélissa Godin: Ero davvero interessata all’intersezione tra il cambiamento climatico e le questioni relative ai diritti umani, in senso più generale.
Quando ho iniziato a lavorare a questo progetto, nel 2017, la conversazione sul clima nei media era molto molto più incentrata sull’intersezione con la scienza o l’economia. Ed ero davvero curiosa di sapere come questo avrebbe interagito non solo con i diritti umani, ma in un certo senso anche con le relazioni umane. Come avrebbe influito sul modo in cui le donne riescono a relazionarsi tra loro, con i loro partner, con i loro figli, con le loro madri. Ed è questo interesse che mi ha fatto concentrare su quest’area.
La parabola dell’attenzione
Sono passati diversi anni da quando hai iniziato a lavorare a questo documentario. Secondo te, oggi c’è più consapevolezza sul legame tra cambiamento climatico e disuguaglianza di genere?
Mélissa Godin: Sì, è un’ottima domanda. Sono passati 6 anni da quando ho iniziato a pianificare questo progetto e posso dire che la comprensione e l’interesse sono cresciuti immensamente.
Racconto sempre questa storia, ma quando ho iniziato a proporre l’idea del documentario, i redattori dei grandi giornali, delle grandi piattaforme di streaming dicevano: “Non ha senso. Non c’è alcun legame tra l’ambiente e le donne”. Poi qualche anno fa la Conferenza della Convenzione Quadro delle Nazioni Unite sul Clima ha deciso di organizzare una giornata tematica sull’intersezione tra clima e questioni di genere. Si chiama Gender Day e si tiene ad ogni COP. Questo parla davvero di quanto la consapevolezza sia cresciuta enormemente.
Credo che la sfida, tuttavia, sia quella di trovare nuovi modi per raccontare la stessa storia. Quindi, uno degli ostacoli con cui mi scontro ora non è “Oh, non c’è un legame tra genere e clima”. Si tratta di “Oh, abbiamo pubblicato una storia su questo argomento 2 o 3 anni fa, quindi perché dovremmo farlo ora?” Ma ovviamente, dal momento che il cambiamento climatico ha un impatto su tutti e che ha un impatto particolare su metà della popolazione mondiale, le donne, penso che la chiave per i giornalisti e per le conversazioni che devono avere con gli editori riguardi come possiamo trovare nuovi modi per raccontare questa storia.
Solo perché l’abbiamo raccontata una volta, non significa che non sia qualcosa che dobbiamo mantenere nel radar del pubblico, allo stesso modo in cui, solo perché abbiamo pubblicato una storia sulla malaria o sul conflitto in Mali, non significa che non dovremmo più parlarne.
Accelerazione su due fronti
Il fatto che si parli di più di un problema non significa necessariamente che esso venga affrontato abbastanza velocemente. Ci puoi dare un quadro di come la situazione sta evolvendo sulla base delle tue ricerche?
Mélissa Godin: Sì, credo che una delle cose più preoccupanti del cambiamento climatico sia che se da un lato ho visto crescere enormemente la consapevolezza sul tema negli ultimi 6 anni, ho anche visto enormi cambiamenti nell’impatto del clima sulle persone in tutto il mondo. Quindi sì, la consapevolezza sta aumentando, ma parallelamente cresce anche l’entità della devastazione che il cambiamento climatico sta causando.
Quindi non credo di essere in grado di dire se la situazione sia migliorata sul campo. Non ho questo tipo di dati, ma credo che l’informazione purtroppo sia in ritardo rispetto al ritmo con cui il cambiamento climatico sta influenzando la vita delle donne in tutto il mondo.
Le protagoniste
In Daughters of Drought seguiamo la storia personale di diverse protagoniste, tra cui in particolare Sophia.
Sophia è una donna dalla forza incredibile che ha perso la sua casa, la sua fonte di sostentamento e anche i suoi figli a causa delle inondazioni eccezionali che hanno colpito la regione meridionale del Malawi .
Non solo Sophia continua a resistere e lottare per la sopravvivenza della sua comunità, ma riesce ad elaborare questi eventi tragici, queste perdite, in opere teatrali e canzoni. Crea così una consapevolezza collettiva sulle cause di questi eventi, in un modo che potremmo considerare come la trasposizione profondamente umana dei cosiddetti studi di attribuzione nella scienza climatica.
L’importanza di raccontare storie
Perché è importante diffondere questo tipo di storie? Come pensi che i lettori possano recepire delle narrazioni che potrebbero sembrare loro remote?
Mélissa Godin: Nel rispondere a questa domanda, tornerò un po’ indietro sui modi in cui si è parlato del cambiamento climatico storicamente. Come alcuni sapranno, nel ventesimo secolo, c’era molto scetticismo intorno al cambiamento climatico, e questo era in gran parte qualcosa che veniva perpetrato dalle industrie dei combustibili fossili che volevano continuare ad estrarre.
Il risultato è stato che si è diffuso un approccio nel giornalismo che consisteva nel condurre con la scienza, con i fatti, e dire: “Se solo riuscissimo a far firmare questa lettera a un numero sufficiente di scienziati. Se riuscissimo a convincere un numero sufficiente di politici a scrivere degli editoriali. Se facessimo abbastanza di questo, saremo in grado di convincere il pubblico solo con i fatti”.
Ci si dimenticava che le relazioni sono molto importanti. Non voglio togliere nulla a quel tipo di giornalismo. C’è un motivo per cui il cambiamento climatico è ora sul nostro radar in un modo così potente, ed è proprio grazie a quei giornalisti. Ma credo che ci siano molte persone per le quali questi fatti non hanno lo stesso impatto.
Quindi possiamo dire che il pianeta si è riscaldato di un certo numero di gradi, che abbiamo perso un determinato numero di alberi, ma i numeri restano astratti. Sono sicura che tutti voi ricordate una storia che vi ha raccontato vostra nonna o un vostro caro amico meglio di quanto riuscite a ricordare numeri, come delle date ad esempio, relativi a quell’evento.
E quindi penso che quando raccontiamo la storia del clima, sia davvero importante condurre con il personale e con il lato umano delle cose, accompagnando il tutto con un resoconto scientifico davvero rigoroso. Ma le due cose devono andare di pari passo. La maggior parte delle persone non è mossa dalle statistiche, ma dalle storie.
Fonte: https://zeroco2.eco/it/interviste/daughters-of-drought-di-melissa-godin/