Mi chiamo Ursus maritimus. Non vi aspettate che vi parli con voce rassicurante, non sono qui per confortarvi. Sono nato su una banchisa, quella che una volta era una distesa infinita di ghiaccio bianco. Mia madre mi ha cresciuto insegnandomi a fiutare il vento, a riconoscere l’odore delle foche attraverso uno strato di neve spesso un metro. La mia casa è il ghiaccio artico, ma il ghiaccio si sta sciogliendo. E con esso, mi sto sciogliendo anch’io.
Eravamo tanti, un tempo. Oggi, di orsi polari come me ne rimangono circa 22.000-31.000. Ogni anno diventiamo sempre meno. Non ci sono guerre, non ci sono cacciatori di pelli come un tempo. Questa è una guerra più silenziosa, invisibile. Il ghiaccio si ritira, il mare si scalda, le foche scompaiono. Noi scompariamo.
Il cambiamento climatico non è una favola lontana. Ogni anno l’Artico perde circa 12,6% della sua superficie ghiacciata per decade, e in estate ormai la banchisa artica è ridotta di quasi 40% rispetto agli anni ’80. E sapete cosa significa questo per me? Niente ghiaccio, niente cibo. La distanza tra le poche lastre rimaste è così grande che spesso devo nuotare per giorni, senza sosta, per cercare una piattaforma dove riposare. Alcuni di noi non ce la fanno. Annegano. Siamo i migliori nuotatori del mondo animale, ma anche noi abbiamo un limite.
Avete mai provato la fame? Non quella leggera che sentite tra un pasto e l’altro. Parlo della fame vera, quella che vi consuma lentamente, che vi fa perdere ogni energia, ogni istinto. È così che viviamo adesso. La foca dagli anelli, il nostro cibo principale, si sposta sempre più a nord. I cicli di ghiaccio e disgelo cambiano così velocemente che non riusciamo più a seguirli. E allora ci spingiamo verso i villaggi umani, rovistiamo tra i loro rifiuti. Loro ci scacciano, ci temono.
C’è chi ci chiama “specie ombrello”. Salva noi, dicono, e salverai l’intero ecosistema artico. Vi siete mai chiesti perché? Perché noi siamo l’inizio e la fine della catena alimentare dell’Artico. Se noi scompariamo, tutto ciò che ci circonda collassa.
Ma voi umani siete strani. Alcuni di voi ci amano, ci osservano a distanza, commossi dalle nostre immagini che diventano virali sui social: un orso smagrito su un pezzo di ghiaccio alla deriva. Altri continuano a scavare nelle nostre terre, estrarre il petrolio che ha accelerato questa fine. Avete fretta, tanta fretta. Noi, invece, viviamo nei tempi lunghi del ghiaccio, della neve che cade silenziosa per mesi. O almeno vivevamo così.
Mi chiamo Ursus maritimus. Per voi sono solo un simbolo. Per i più piccoli, un peluche. Per altri, l’immagine di una catastrofe in corso. Ma io sono reale. Esisto, respiro, lotto. Ancora per un po’.

Non voglio compassione, ma azione. Non abbiamo più tempo. O forse voi non ne avete più.

Oggi, nella Giornata Mondiale dell’Orso Polare, ricordate che la nostra sopravvivenza è legata alla vostra. Ogni grado in più di temperatura, ogni pezzo di ghiaccio che scompare è un passo verso la nostra estinzione. Ma può essere anche un’occasione per cambiare rotta. Forse non riuscirete a salvare me, ma potete salvare chi verrà dopo di me. E salvando noi, salverete anche voi stessi.

 

di Isabella Zotti Minici