All’Università di Padova, nel corso “European and Global Studies”, uno dei temi di principale discussione è l’esodo di esseri umani dal proprio paese di provenienza a causa del cambiamento climatico, con conseguenze impattanti anche per il resto della popolazione mondiale.
Immaginiamo milioni di persone trasferirsi in massa a causa di cataclismi naturali: piogge ininterrotte, aumento delle temperature, siccità, esondazioni; tutto ciò genererebbe situazioni insostenibili per la sopravvivenza umana.
Ma, senza troppa immaginazione, è ciò che avviene ogni giorno e potrebbe portare, nel 2050, come evidenzia Legambiente, ben 216 milioni di persone a lasciare la propria terra per sopravvivere.
Il problema dei migranti climatici è un tema che si lega strettamente al Goal 10 dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, che si prefigge di “ridurre le disuguaglianze dei e fra i Paesi”. Una delle questioni principali che pone il riscaldamento climatico è infatti rendere ineguali e ingiuste le condizioni di chi lo subisce rispetto alle popolazioni che con le loro azioni lo provocano.
Tra i traguardi che si pone l’Obiettivo 10 delle Nazioni Unite è importante sottolineare la necessità di facilitare una migrazione e una mobilità ordinate e sicure attraverso politiche responsabili.
Secondo il punto 3, le nazioni devono “assicurare pari opportunità e ridurre le disuguaglianze nei risultati, anche eliminando leggi, politiche e pratiche discriminatorie e promuovendo legislazioni, politiche e azioni appropriate a tale proposito”.
In un mondo sempre più interconnesso, la responsabilità di facilitare un’esistenza dignitosa ai migranti climatici è parte integrante della lotta contro le disuguaglianze.
L’Obiettivo 10 ci invita a considerare l’uguaglianza non solo come un concetto astratto ma come una serie di azioni concrete.
In questo contesto, la necessità di politiche globali di accoglienza e ricollocazione si configura come una tappa cruciale per garantire che la migrazione sia un atto di resilienza e non una condanna all’insicurezza. Per avere una cognizione della questione possiamo guardare i dati scientifici che spiegano questo fenomeno.
Nei prossimi cinquant’anni, l’innalzamento delle temperature, unito a un aumento dell’umidità, comporterà l’inabitabilità in vaste aree del pianeta per 3,5 miliardi di individui, e quindi le migrazioni su ampia scala saranno le protagoniste di questo secolo e rimodelleranno il nostro mondo.
E’ da tenere in considerazione che nei prossimi decenni la popolazione mondiale continuerà ad aumentare, raggiungendo un picco di forse dieci miliardi nel 2060.
Fondamentale sarà dunque distribuire la popolazione nomade in fuga a causa del surriscaldamento globale. Come suggerisce infatti la scrittrice Gaia Vince, nel suo libro “Secolo Nomade”, dovremmo pensare ora come rilocalizzare in maniera sostenibile i miliardi di persone che migreranno. Ma il problema riguarda anche l’Occidente. Secondo i dati di Climate Central, infatti, entro il 2050 “mezzo milione delle case attualmente esistenti negli Stati Uniti si troveranno su terreni che si allagheranno almeno una volta all’anno”.
Inoltre grandi città portuali sono a rischio: si prevede infatti che Cardiff, la capitale del Galles, entro il 2050 sarà per due terzi sommersa.
Sempre la Vince, prima donna premiata nel 2015 con il Royal Society Prizes for Science Books, sostiene che “la maniera in cui gestiremo questo processo globale e il senso di umanità che mostreremo durante le migrazioni saranno la chiave per far sì che questo secolo di sconvolgimenti proceda fluidamente e non con conflitti violenti e morti non necessarie”. Riprendendo un video dell’Economist dall’eloquente titolo” Migranti del cambiamento climatico, cosa possiamo fare?” il problema principale risiede nel fatto che spostare le persone da uno Stato ad un altro è un’azione estremamente costosa. Inoltre le classi politiche non riescono a contemplare azioni di medio-lungo respiro in quanto poco spendibili in chiave elettorale. Un esempio concreto di risoluzione però esiste, ed è l’iniziativa intrapresa dall’Australia che, tramite un accordo del novembre scorso, ospiterà gli abitanti di Tuvalu, la prima nazione a rischio di scomparsa definitiva per via degli effetti del surriscaldamento globale. Lo Stato polinesiano è un arcipelago dell’oceano Pacifico composto da circa 11 mila abitanti. Questi troveranno accoglienza in Australia, che per la prima volta offrirà a persone straniere il diritto alla residenza o alla cittadinanza per i rischi legati al cambiamento climatico. Come riporta il Post, potremo assistere a un modello di cooperazione tra l’Australia e gli altri Stati con problemi simili a quelli di Tuvalu: al momento la Nuova Zelanda e gli Stati Uniti, ad esempio, hanno fatto accordi analoghi con l’Oceania, tra cui Palau e Niue.
Saranno sempre di più le persone che si troveranno direttamente o indirettamente a fare i conti con il problema dei migranti climatici nei prossimi anni. Questo, oltre a generare disuguaglianze, provocherà ingiustizie, come raccontato nel documentario “YATAPITA – Cos’è l’ingiustizia climatica”, della reporter Silvia Lazzaris di Will Media.
Il filmato presenta la storia di uno Stato, la Tanzania, duramente colpito da povertà, fame e alluvioni e di persone che hanno scelto di non arrendersi e attivarsi per superare le difficoltà. Per poter governare la questione e ridurre le disuguaglianze, le strade da intraprendere dovrebbero essere un vero spirito di collaborazione tra tutte le nazioni. Ma siamo davvero sicuri che siano pronte a riconoscere l’uguaglianza di tutti i popoli e ad accogliere istanze così complesse?
Fonti:
https://www.treccani.it/vocabolario/uguaglianza/
https://willmedia.it/loop/migranti-climatici/
https://www.youtube.com/watch?v=A3AuCQml7IQ&t=2s
https://www.youtube.com/watch?v=tN8HXOvtEM0&t=1s
https://www.ilpost.it/2023/11/10/australia-tuvalu-accordo-residenza-cambiamento-climatico/
Vince G. , 2023 “Il secolo nomade. Come sopravvivere al disastro climatico”, Bollati Boringhieri