L’Ipcc ha pubblicato l’ultimo avvertimento del decennio. E per fortuna, tanto non dice nulla di nuovo e non cambia nulla.
Il 20 marzo 2023 è stato pubblicato il riassunto – detto anche rapporto di sintesi – del sesto ciclo di rapporti di valutazione del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici: l’Ipcc. Non ce ne saranno altri almeno fino al 2030. E forse meglio così, tanto non dicono nulla di nuovo. Sempre le stesse cose. Lo sappiamo già dove andremo a finire. A cosa serve continuare a fare ricerca su un tema che non importa a nessuno? A cosa serve proporre soluzioni e tracciare la strada, anche uscendo dal campo scientifico per entrare in quello politico, se tanto nessuno la segue? Sì, è una provocazione.
Il sesto ciclo di rapporti dell’Ipcc (Ar6) è stato un lavoro gigantesco che ha impegnato centinaia di scienziati, delegati, osservatori, revisori. Tutti, nessuno escluso. Ognuno ha contribuito nel delineare nel modo migliore e più chiaro possibile gli scenari che abbiamo di fronte se decidiamo di fronteggiare la crisi climatica o se ce ne freghiamo come fatto finora.
A che punto siamo con la crisi climatica?
Cos’è “ora”? Ora è un aumento della temperatura media globale pari a 1,1 gradi rispetto alla media del periodo pre-industriale, ora è oltre 3 miliardi di persone che già soffrono gravi conseguenze, dalle alluvioni alla siccità. Lo abbiamo visto la scorsa estate in Pakistan, lo abbiamo visto qualche giorno fa in Malawi e Mozambico, lo stiamo vedendo oggi che a Milano si respira un’aria pessima perché non piove come si deve da mesi proprio a causa di un aumento della temperatura che incide (ne parleremo prossimamente) anche sull’assenza di nuvole e che ha portato a una siccità continua. Non c’è neve in montagna, non c’è acqua nei fiumi, i laghi sembrano pozze.
“Questo rapporto è una chiamata evidente ad accelerare in modo massiccio gli sforzi da parte di ogni paese, ogni settore, in ogni momento che abbiamo a disposizione. In pratica, il mondo ha bisogno di azione per il clima su ogni fronte: everything, everywhere, all at once”. Ci prova così António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite, citando il film che ha appena conquistato sette statuette alla notte degli Oscar, compresa quella di miglior film: per salvare il clima serve qualsiasi soluzione da mettere in pratica, subito. Perché, ricordiamocelo bene, le soluzioni esistono, e-s-i-s-t-o-n-o.
Quali sono le soluzioni alla crisi climatica?
- Dobbiamo smettere di bruciare – all at once – petrolio, carbone e gas;
- dobbiamo investire in modo massiccio sulle energie rinnovabili, come acqua, sole e vento;
- dobbiamo investire soldi, tanti soldi sulla ricerca e sulla tecnologia per trovare soluzioni di medio termine – nessuno ha mai detto che non dobbiamo investire nella fusione nucleare o nello stoccaggio della CO2 in eccesso – anzi. Dobbiamo investire, ma non possiamo attendere che queste diventino realtà, bisogna agire prima, ora per ridurre il più velocemente possibile le emissioni;
- dobbiamo migliorare l’efficienza energetica di edifici e industrie;
- dobbiamo puntare sulla finanza e sulla giustizia climatiche – sì perché spendiamo ancora miliardi in denari pubblici per il petrolio e troppo poco per aiutare a ridurre le disuguaglianze causate dallo sfruttamento incontrollato delle risorse naturali, a partire dal suolo.
Di tutto ciò non abbiamo fatto nulla, n-u-l-l-a. Abbiamo fatto finta. E infatti, nonostante siano decenni che la scienza ci mette in guardia (l’ultimo grande rapporto dell’Ipcc su come fermare l’aumento della temperatura media globale entro gli 1,5 gradi risale al 2018, ben cinque anni fa), la quantità di emissioni che spariamo in atmosfera continua ad aumentare, inesorabilmente, di anno in anno. E per questo, sempre secondo quanto ci dicono, stiamo andando dritti dritti verso un aumento – che dio ce ne scampi – di 3 gradi centigradi entro la fine del secolo. Il triplo dell’aumento attuale che già ci sta facendo impazzire. Ci lamentavamo del fatto che non si parlasse abbastanza di clima, che già siamo stufi di sapere che non piove. E più non piove, più se ne parla. Non è come una guerra lontana o uno sbarco finito male di cui possiamo dimenticarci perché ci colpisce, ma solo per qualche giorno. No, la siccità – ovvero il fatto che l’acqua dolce stia diventando sempre più scarsa e preziosa – ci riguarda ogni giorno di più. Vediamo i terreni spaccati, aridi, gialli e marroni e ci viene sete al solo pensiero di cosa questo possa significare tra qualche mese, quando non potremo aprire liberamente i rubinetti di casa o fruire delle fontane pubbliche. Chi di voi ha visto Siccità di Paolo Virzì?
E allora, prima di chiedere aiuto a qualche “noi” lontano, a qualche “umanità” in altri multiversi che hanno già sconfitto la crisi climatica, proviamo a fare quello che dobbiamo “noi”, qui, oggi.