E’ l’essere umano, con il suo modo di vivere, la causa principale dei problemi alla vita marina. Che non vuol dire solo la vita dei pesci e delle piante che abitano i nostri mari ma anche la nostra, per molti aspetti come, ad esempio, l’economia: più il mare è brutto meno si svilupperà il turismo; più il mare è inquinato, più saporito sarà il gusto dei pesci in pescheria, con buona pace anche della nostra salute. Non molto tempo fa si era diffusa la credenza che, per quanti rifiuti e residui chimici venissero riversati nei mari, gli effetti sarebbero stati ininfluenti grazie alla loro mole (circa il 70% della Terra è coperta dagli oceani), spoiler, non è così. L’impegno, da parte nostra, ad inquinare l’acqua, è talmente tanto e diversificato che possiamo identificare almeno 4 tipologie d’intervento antropico:
Inquinamento chimico: si intende lo sversamento di contaminanti pericolosi
Inquinamento luminoso: la luce altera i normali ritmi circadiani secondo i quali le specie hanno fatto evolvere i loro cicli di migrazione, riproduzione e alimentazione
Inquinamento acustico: per molti mammiferi marini la comunicazione e la visione dipendono dai suoni. I suoni non naturali interrompono la comunicazione disorientando gli schemi di migrazione, comunicazione, procacciamento di cibo e di riproduzione
Inquinamento da plastica: il più tristemente famoso. Il Parlamento europeo stima che negli oceani siano presenti più di 150 milioni di tonnellate di plastica, e che ogni anno da 4.8 a 12.7 milioni di tonnellate di rifiuti vengano sversati nei nostri mari.
Fra 25 anni, secondo gli esperti, nei mari ci sarà più plastica che pesci. Di plastica ne abbiamo tanta, e di monouso ancora di più (oggi l’UE ne ha imposto il divieto totale). Quindi, che ce ne facciamo? C’è chi ha deciso di sfruttare questa grande quantità di materiale per realizzare opere d’arte. Parliamo di Veronica Richterovà.
La Richterovà ha dimostrato come l’utilizzo della plastica in maniera alternativa possa essere una risorsa per realizzare incredibili sculture e oggetti d’arredo. Stiamo parlando di “Pet-art”, che prende il nome da PET (Poletilene tereftlalato), il materiale di cui sono composte principalmente le bottiglie.
“Il principio è molto semplice” sottolinea l’artista “ogni bottiglia in PET tende a diventare più piccola quando viene riscaldata, tuttavia, secondo la mia esperienza, è difficile regolare il processo poiché i diversi tipi di flaconi sono di diversa qualità e il loro comportamento è spesso imprevedibile. Il lavoro è sempre pieno di avventure, la scultura finale è solitamente il risultato di molti esperimenti.
Il più grande vantaggio è che c’è un sacco di materiale gratuito in tutto il mondo. Ho una casa piena di bottiglie che ho trovato, che rappresentano il mio ‘tesoro’, dove posso andare a scegliere con cosa voglio lavorare.”
La plastica impiega dai 20 ai 500 anni per decomporsi, un periodo troppo lungo per uno smaltimento naturale ed efficace, vedi le isole di plastica che galleggiano nei nostri mari da anni. L’artista cogliendo la palla al balzo inizia la sua ricerca, in principio come esperimento visivo, successivamente come una vera e propria missione. “Luninari Pet” è una delle sue collezioni più sorprendenti. Consiste in una serie di lampadari dallo stile sette-ottocentesco realizzati riciclando bottiglie di plastica. La Richterovà con la sua “pet-art” ha partecipato a importanti mostre e ha realizzato esposizioni individuali presentando imponenti fiori come nell’opera intitolata “sette rose” del 2019 tutti realizzati saldando bottiglie di PET tra loro, e grandi pesci bidimensionali.
Il lavoro di Richterovà è solo uno dei tanti esempi di riutilizzo della plastica. La promozione di un uso responsabile delle risorse da parte dei consumatori e i provvedimenti politici, possono davvero contribuire alla protezione ambientale per il futuro.
di Angela Zaghi