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I Legolize: «Facciamo sorridere con gli omini Lego. Anche Musk ci apprezza»

Samuele Rovituso, Pietro Alcaro e Mattia Marangon sono i fondatori di “Legolize”: «Non c’entriamo con i Lego veri, ma non ci hanno mai bloccato»

«Quello che veramente non ci saremmo mai aspettati era che Elon Musk usasse una nostra vignetta, come è successo a fine 2022. Un omino Lego va dal Lego-dottore e gli dice: “È pericoloso credere ciecamente a qualsiasi cosa”. Il medico: “Ciò che è scienza è stabilito”. Il paziente: “Ma la scienza non funziona così!”. Il dottore: “Razzista!”. Musk, aveva modificato il testo, ma le fotografie dei Lego le avevamo scattate noi a casa nostra: se cerchi il “Lego doctor meme” sul sito Know your meme — che racconta la genesi di ogni immagine nata per essere modificata e condivisa — scoprirai che è uno dei più diffusi al mondo».

Così, di fronte a un cappuccino in un bar di Torino, raccontano Samuele Rovituso e Pietro Alcaro che, con Mattia Marangon, sono i padri di Legolize, le vignette con i celebri omini che in sette anni sono diventate protagoniste di uno dei profili umoristici più seguiti sui social. Tutto inizia nel 2016 – Rovituso e Alcaro avevano 17 anni, Marangon venti – con un post su Facebook, una semplice fotografia: c’è un omino Lego che fa in cameriere in una casetta a forma di McDonald’s. Testo: «Quando sei un Lego. Ma ti sei appena laureato». Arrivò il primo like, ne seguirono pochi altri: ma era stato posato il primo mattoncino di una costruzione che ora conta 1,2 milioni di follower su Instagram, 700mila su Facebook, 360 mila su Tik Tok.

Samuele è di Torino, Mattia di Milano, Pietro calabrese, come vi siete incrociati?
«Ognuno di noi faceva umorismo su Facebook, ci seguivamo l’un altro, ci scrivevamo. A un certo punto ci siamo detti “dobbiamo pensare a qualcosa di riconoscibile”, e dunque ecco i Lego: personaggi familiari a tutti, perfetti per lo humor nella loro imperturbabilità. Nel 2016 abbiamo inventato Legolize e in un anno avevano 200mila follower su Facebook».

Perché i meme con i Lego fanno ridere?
«Perché sono impassibili. E perché creano delle situazioni tipiche: quello utilizzato da Musk, in cui un paziente dialoga con il dottore, è diventato una base classica: ormai tutti lo usano per mettere sulla nostra striscia i testi che vogliono».

Avete ripescato un tipo di humor piuttosto antico, sul vostro profilo Instagram la vostra presentazione dice «Se due Lego potessero parlare direbbero solo freddure».
«Freddure, battute, barzellette: esistono da sempre, sono universali. E hanno il vantaggio di essere velocissime, quindi perfette per i social. Non puntiamo a far ridere, piuttosto a far sorridere e dire “ma dai…”»

Cosa fa ridere voi?
«Abbiamo l’umorismo un po’ “rotto”: chi lavora nel settore tende a perdere certe reazioni. Per dire: non siamo da LOL. Ci divertono cose surreali – un video di uno che apre TikTok per la prima volta e sta a fissare il cellulare senza capirci nulla – o alcune pagine molto piccole come Crudelia Memon… Sono un po’ l’indie dei meme».

E comici «tradizionali»?
«Ci piace Lundini, Checco Zalone. E Aldo, Giovanni e Giacomo: nel 2016 facemmo tutta la storia di Tre uomini e una gamba in settanta slide, e loro la condivisero».

Come lavorate?
«La creatività la facciamo tutti, ognuno di noi a casa ha un mini set, una soft-box in cui scattare la foto e tanti personaggi e oggetti di uso quotidiano in Lego, per costruire le battute. Creiamo due vignette al giorno e un reel ogni tre. Sul resto siamo specializzati: Samuele fa la grafica e l’editing video con suo fratello, Pietro gestisce le collaborazioni con gli altri creator, Mattia cura la parte commerciale».

Perché ora Legolize è il vostro lavoro.
«Sì, ognuno ha la propria partita Iva. Guadagniamo con le collaborazioni: le aziende ci chiedono battute o reel che coinvolgano i loro prodotti. Ci spacchiamo la testa per costruire contenuti che siano giusti per i nostri follower e nello stesso tempo per l’azienda. Tanti creator quando fanno progetti sponsorizzati sono spudorati: può funzionare sul breve, ma a lungo periodo perdi il tuo pubblico. Alcuni addirittura fanno marchette così sfacciate che vengono coperti di insulti sui social e devono bloccare i commenti».

Chi sono i vostri clienti?
«Il cibo pop è quello che ci permettere di creare con più spensieratezza, abbiamo lavorato con i grandi marchi – tipo McDonald’s o Burger King – o con progetti più piccoli, come Porcobrado. Ma ci capita anche di collaborare anche con aziende di altri settori, Fintec o telecomunicazioni: la vera svolta è stata una campagna con Iliad, il primo progetto di grande respiro».

Chi sono i vostri follower?
«Cambiamo da social a social. Su Instagram il 31% è tra i 18 e i 24 anni, e il 37% tra i 24 e i 35; su Facebook e LinkedIn più vecchi, su TikTok più giovani».

Qual è lo stato di salute dei diversi social?
«Facebook è fermo, noi abbiamo 700 mila follower ma non crescono. A forza di aggiungere strumenti commerciali con l’obiettivo di diventare una piattaforma globalizzante è diventato troppo complicato per entrarci: se hai 12 anni e apri Facebook vieni travolto dalle funzionalità. Instagram funziona, ma oggi è già più difficile creare nuovo pubblico rispetto a un anno fa; fortunatamente le condivisioni – con i reel, con le dirette – permettono di incrociare i pubblici di due soggetti».

TikTok?
«Entrare in TikTok è facilissimo, è perfetto per i giovanissimi. Ma l’algoritmo di TikTok è tutto diverso: premia i contenuti e non i creator, così può capitare che un utente con pochissimi follower realizzi un video che diventa virale e fa milioni di visualizzazioni e che uno con milioni di follower ne faccia poche. TikTok è un ambiente terribilmente competitivo. Da un lato è un bene, perché dà a tutti le stesse possibilità, dall’altro è un male, perché non premia i creator ma solo i loro contenuti. Su TikTok puoi fare il botto, ma è ancora Instagram che ti dà la solidità».

YouTube?
«YouTube da un certo punto di vista è il massimo: è l’unico che paga direttamente i creator. Quindi i follower su YouTube sono i più preziosi, seguono quelli di Instagram, a loro volta molto più rilevanti di quelli su TikTok. Twitter non è il nostro mondo».

E il futuro?
«Gli anni dei social sono come quelli dei cani: uno ne vale sette. È impossibile fare programmi a lungo termine: tutto potrebbe cambiare radicalmente. Progettiamo a breve, brevissimo, soprattutto stiamo molto attenti a capire i cambiamenti per poterci stare dietro. È un ambiente dinamico in modo estremo».

Mai avuto problemi con la Lego?
«Nessuno, esistiamo da sette anni e non ci hanno mai contattato. Né per ringraziarci, né per impedirci di andare avanti. Ci piace interpretarlo come un silenzio-assenso».

di Luca Iaccarino

Fonte: https://www.corriere.it/cronache/i-miti-dei-giovani/23_giugno_14/legolize-intervista-155e086e-0a1c-11ee-bee7-ee379b110155.shtml