I vertici mondiali sul clima hanno due vantaggi: far capire a che punto siamo nella lotta al riscaldamento globale e farci vedere le differenze tra i vari attori sulle cose da fare. Al termine di ogni assise ognuno di noi si fa un’opinione e valutare chi si impegna davvero e su cosa.
A fine novembre si apre a Dubai la Cop 28 dell’ONU e ci ritroveremo tutti a ragionare e discutere se si stanno facendo dei passi avanti.
Un dato deve, però, cominciare ad allarmarci in questo fine 2023: le emissioni mondiali di CO2.
E’ la battaglia principale per salvare il pianeta. Tuttavia, tra le decine di report che agenzie e centri studi qualificati elaborano, l’ultimo di pochi giorni fa dell’ Organizzazione Meteorologica Mondiale lascia sgomenti. Nel 2022 la CO2 è stata più alta del 50% rispetto ai valori del 1750, anno preso come parametro di era preindustriale.
“Stiamo andando nella direzione sbagliata”, ha commentato il segretario generale dell’Organizzazione Petteri Taalas. Il suo giudizio, molto simile ad un allarme, è stato ripreso da tutte le agenzie internazionali. Il 50% in più rispetto ad un’epoca in cui l’industria era agli albori e il mondo non somigliava per nulla a quello di oggi è un record che entrerà nei libri di storia. Di sicuro di questo passo il limite di contenimento di 1,5° di temperatura terrestre non sarà raggiunto.
L’analisi dell’OMM fa anche previsioni per i prossimi anni, sempre più influenzate dalle azioni dell’uomo. Dovremo convivere con “caldo e precipitazioni intense, scioglimento dei ghiacci, innalzamento del livello del mare, calore e acidificazione degli oceani”. I costi sociali ed economici saranno altissimi, ancora una volta.
Taalas ha invocato la riduzione dei combustibili fossili come misura ultra-urgente per invertire la tendenza. Il dato base che ha provocato il record di CO2 è costituito dalle fonti energetiche tradizionali che spingono i processi industriali. L’aumento di carbonio, però, coincide con una fase imprevista dell’economia mondiale. Gli investimenti nelle rinnovabili sono calati e l’industria matura, in un periodo di congiuntura lunga, non ha fatto altro che continuare ad usare gas, petrolio e carbone. Oltre alla CO2 nell’anno sono aumentati, infatti, anche i livelli globali di metano e ossidi di azoto: altri due gas clima alteranti.
L’economia mondiale non riesce a selezionare gli obiettivi green a causa della diminuzione dei finanziamenti pubblici. Assistiamo ad una partita giocata in due tempi, incompatibili evidentemente con le urgenze spiegate dai report sul clima.
Per centrare l’obiettivo di tagliare il 43 % tutti i gas serra al 2030, bisogna riprendere a mettere a disposizione dei settori economici trainanti, risorse pubbliche. La partita, però, si ferma quando i bilanci nazionali non riescono- non ce la fanno – a liberare soldi, quando il debito pubblico resta elevato, quando i mercati finanziari acquistano titoli pubblici solo per non far saltare il Banco, alias gli Stati.
L’Ue qualche giorno prima del report dell’ Organizzazione Meteorologica Mondiale ha ribadito di voler incrementare le azioni per la mitigazione degli effetti climatici. Si rivedono alcuni punti del Green Deal e la dichiarazione è sicuramente di buona volontà in vista anche della Cop di Dubai.
Bisogna capire come farà l’Unione dei 27 con la massa di tensioni politiche in circolazione. L’anno si chiude, e mettendo insieme tutto, di sicuro non ci prende l’euforia.
di Nunzio Ingiusto