Fra i tanti approfondimenti possibili in materia ESG, ora che sono disponibili le bozze dei principi EFRAG necessari alla applicazione della direttiva CSRD, ed in attesa dei principi “proporzionali” per le PMI (quotate) mi pare utile, dopo essermi brevemente occupato del sovrastante tema della materialità (anzi, doppia materialità), cominciare ad addentrarmi su aspetti più specifici ed ho scelto un tema “S”, cioè “social”, nello specifico legato alla forza lavoro interna ed esterna. Di tale tema si occupano due principi EFRAG ESRS, il primo (S1) dedicato alla Forza lavoro interna ed il secondo (S2) dedicato alla Forza lavoro nella catena di valore, che per comodità possiamo definire esterna. Perché il tema è rilevante: si tratta di una categoria di “stakeholders” particolarmente significativa e caratterizzata da interessi molto diretti con l’azienda e per la quale esiste disciplina legale nazionale che trova (o dovrebbe trovare) corrispondenza e derivazione da normazione internazionale (si pensi alla Carta internazionale dei diritti umani, i principi ONU su business e diritti umani, e tanto altro inclusa la specifica legislazione Europea). Anche in questo caso la fatica da affrontare per una PMI, oggi non ancora obbligata al reporting non finanziario, è quella di anticipare tempi e modi e non trovarsi disagiata rispetto alle richieste del sistema nel suo complesso. Ho avuto modo, infatti, di ricordare più volte che la PMI è oggetto di informativa non finanziaria perché appartiene ad una catena di valore in cui spesso il capofila la richiede (perché obbligato) ed è finanziata da banche e istituzioni che debbono riportare in materia di finanza sostenibile alle proprie autorità di vigilanza. Misurare quindi e riferire di impatti di materialità insiti nel proprio modello di business (ed organizzativo) sulla forza lavoro propria e sulla forza lavoro della catena in cui si colloca l’impresa comporta una attenzione e preparazione non indifferente. Il tema infatti va oltre il solo rispetto del diritto del lavoro e dei contratti collettivi (che per fortuna costituisce una solida base di partenza). Per avere un’idea del tema basta riportare l’elenco dei diversi ambiti di reporting richiesti sia dal principio EFRAG ESRS S1 (Forza lavoro interna) sia dal principio EFRAG ESRS S2 (Forza lavoro nella catena di valore): (a) condizioni di lavoro: stabilità dell’impiego – orario di lavoro – adeguatezza delle retribuzioni – dialogo sociale – libertà di associazione ed esercizio collettivo di diritti – contrattazione collettiva sindacale – equilibrio vita-lavoro – salute e sicurezza. (b) uniformità di trattamento e opportunità: uguaglianza di genere – uguaglianza di retribuzione a parità di mansioni – formazione e sviluppo delle capacità – inclusione di persone disabili – misure contro la violenza sui luoghi di lavoro – diversità (c) altri diritti correlati: lavoro minorile – lavoro forzato – adeguata sistemazione – privacy Le analisi di materialità su questi fattori (sulle procedure di analisi di materialità rimando al precedente contributo) vanno condotte con riferimento sia alla propria forza lavoro (forse più agevole) sia alla forza lavoro esterna (qui le cose si complicano). Vediamo subito le definizioni date dai principi su cosa si intenda per forza lavoro interna cosa si intenda per forza lavoro esterna per sensibilizzare la PMI sulla perimetrazione degli ambiti di analisi. Mentre la forza lavoro interna è sicuramente costituita da tutti i dipendenti della società, ovunque essi si trovino, tale definizione è estesa anche a quella composta da soggetti che pur non essendo dipendenti dell’impresa lavorano secondo una organizzazione che li rende assimilabili. Il principio ESRS S1 così esemplifica: soggetti contrattualizzati per svolgere lavoro che potrebbe essere svolto da un impiegato interno – soggetti contrattualizzati per svolgere lavori in aree pubbliche – soggetti contrattualizzati per consegnare direttamente ai clienti prodotti o servizi – lavoratori che sostituiscono altri per malattia o assenze legittime – lavoratori distaccati presso l’impresa. Naturalmente il diritto del lavoro e la prassi in ciascun paese Europeo aiuteranno a identificare meglio le categorie aggiuntive rispetto alla forza lavoro naturale di ciascuna impresa – ma occorre sin da subito prestare attenzione alla organizzazione del lavoro della PMI in modo che le analisi di materialità e il necessario coinvolgimento delle varie categorie sia coerente e tempestivo nel complesso. Se poi si passa ad analizzare la forza lavoro esterna, si capisce ancora meglio la sfida da affrontare. Il principio ESRS S2 identifica la forza lavoro esterna come quella che è parte della catena di valore verso l’alto e verso il basso: quindi fornitori e clienti oltre ad altri esempi più specifici per coloro che lavorano in appalto (beni o servizi – manutenzioni) presso l’azienda stessa. Ora, mentre affrontare l’analisi di materialità per la propria forza lavoro impiegata è in un certo senso parte integrante del bisogno di monitorare e custodire l’organizzazione interna e quindi non è scollegata dal bisogno ordinario di sovraintendere al corretto svolgimento del lavoro cui aggiungere tutte le attenzioni “social” ormai note a tutti i livelli, operare similmente nella catena di valore è ben diverso. Occorre sia la capacità sia la possibilità di identificare nell’ambito del proprio modello di business tutte le aree sovrastanti e sottostanti l’impresa dove gli impatti del business possono essere identificati e misurati – e questo sia per gli impatti subiti sia per gli impatti creati. Si tratta quindi di mirare alle controparti contrattuali con le quali esistono rapporti di colleganza di business molto stretti e tali da generare un legame visibile fra gli impatti interni con impatti esterni (subiti e creati). Detto in altri termini, a mio avviso, l’impresa dovrà essere a conoscenza della propria posizione nella catena di valore non solo ai fini della misurazione di impatto da prodotto o servizio, ma anche di impatto sulle rispettive forze lavoro. E’ come creare una sorta di “area aperta di conoscenza” di impatto sulla forza lavoro della catena di valore che tenda a creare e mantenere le migliori condizioni “social” a tutti i livelli. Avremo modo di studiare ancora e di approfondire mettendo a fattore comune l’esperienza di quelle imprese di grandi dimensioni che si sono già cimentate con tali temi nella Dichiarazione non finanziaria – ma occorre sin da ora iniziare a preparare la conoscenza di base per le PMI anche al fine di evitare il rischio di un reporting solo di facciata rispetto ai fenomeni (specialmente esterni) da cui la PMI forse istintivamente starebbe ben lontana. Si conferma quindi che la sostenibilità è una sfida epocale.
di Federico Diomeda
Dottore Commercialista in Genova
Membro del Consiglio Direttivo di IASE Italy