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Autostrada, fino all’imbocco lagunare del Tronchetto, per salire su un battello e navigare le acque di Venezia, fino all’isola della Giudecca. Discesa al pontile blu del Mulino Stucky e poi due passi, fino alla chiesa sconsacrata dei Santi Cosma e Damiano, protettori dei medici. Da luogo di culto – attraverso l’età napoleonica – a incubatore di pratiche sociali per il ripopolamento veneziano, urbano e lavorativo. E quindi: mare, azienda, lavoro e sostenibilità, ambientale e sociale. Tra questi concetti e queste mura, sacre non più a Dio ma al pianeta, trova spazio Sea The Change, una start up innovativa che si occupa di blue economy, coniugando  profitto e cura del pianeta attraverso il mare.

Alberto Carpanese, co-fondatore di StC, ci accompagna in un tour di uno stabile davvero magico: “Abbiamo deciso di realizzare qui il nostro ufficio in pianta stabile. Sea The Change è nata nel 2022 per connettere la sostenibilità aziendale con la tutela degli oceani. Questo perché le soluzioni presenti erano per la stragrande maggioranza dei casi landbase, quando paradossalmente il pianeta è composto per oltre il 70% d’acqua. Lavorare sulla sostenibilità aziendale e marina consente di avviare un circolo virtuoso, poiché gli ecosistemi marittimi hanno una potenza più alta nel combattere il cambiamento climatico rispetto agli ecosistemi terrestri”. Sea The Change nasce dagli studi di Economia ambientale, che hanno portato Alberto, Luca Barani e Francesco Suzzi a creare un’attività che guardasse sia alla sostenibilità ambientale, che a quella sociale.

Com’è possibile coniugare i concetti di economia e ambiente, di profitto da un lato e di sostenibilità dall’altro?
“Pensare che profitto e sostenibilità non vadano di pari passo è un concetto sbagliato. Pensiamo solo all’attività della pesca: se si continua a pescare ininterrottamente e senza criterio, si andrà a terminare la risorsa, e quindi anche il profitto. StC opera nel settore della Blue Economy – spiega Alberto – che guarda alle attività fatte sul mare e mira ad azzerare le ripercussioni inquinanti”.

Perché siamo allora portati a consumare le risorse, anziché mantenerle in equilibrio?
“È il capitalismo: creare e distruggere. L’economia circolare, invece, immette in un circolo virtuoso la risorsa, che include la sua rimessa in opera, a livello aziendale e territoriale. Ciò che non abbiamo considerato in passato è il costo ambientale – o environmental cost – che cambia l’equazione. Ciò sta iniziando ad accadere oggi, grazie alle normative europee, che impongono indicatori per misurare il proprio impatto. E come conseguenza anche le banche europee stanno stringendo l’erogazione di fondi nei confronti di enti e aziende che non perseguono i parametri ambientali richiesti. Infine i consumatori – più del 70% – fanno la loro parte, preferendo prodotti “ecosostenibili” rispetto ad altri. Per quanto riguarda la supply chain: la Corporate sustainability reporte derective – continua Alberto – ad oggi va a interessare solo aziende di grandi dimensioni (+250 dipendenti, +40 milioni di euro di fatturato), generando un effetto a cascata: la grande azienda lavora con i fornitori più piccoli, e quindi tutta la filiera aziendale deve adeguarsi alla sostenibilità”.

StC aiuta le aziende ad essere più “blu”. L’azienda che decide di lavorare con voi è perché vuole migliorare il pianeta o perché va di moda?
“È un mix di cose, tra brand reputation e vantaggio aziendale. I clienti sono comunque molto attenti alla tematica, facendo sì che questa permei tutta l’azienda. Abbiamo spiegato loro cosa avremmo fatto, tra nuove dinamiche di stakeholders engagment e progetti di team building, che coinvolgano i dipendenti nella sostenibilità ambientale. C’è la percezione di una nuova necessità, soprattutto alla luce del ricambio generazionale, dove le figure più giovani hanno una visione futura verso una maggiore sostenibilità ambientale”.

Parliamo del rapporto con Venezia: come opera StC sul territorio di Venezia, anche nell’ottica di ripopolamento del tessuto sociale nella città?
“Venezia è la città più affetta, nel mondo, dal cambiamento marittimo (per ovvi motivi). Qui abbiamo due progetti: la produzione di Blue carbon, dove catturiamo e stocchiamo CO2 da utilizzare poi nelle strategie di decarbonizzazione delle aziende (ovvero la misurazione, la riduzione e la compensazione delle emissioni). L’altro, che   si chiama Ghost boat, va invece a recuperare le barche disperse sul fondo dei mari per trasformarle, grazie a un partner locale, in tavoli realizzati con i materiali recuperati”.

Ci sono poi i progetti “esteri”, che guardano al mar Adriatico – sulla riviera romagnola – e alle coste catalane del Mediterraneo…
“Sì, Fishing for litter è stato il primo progetto creato da StC: abbiamo avviato l’attività convincendo i pescatori locali della Romagna a pescare anche la plastica nei mari, con la collaborazione della partner Fondazione Cetacea – che si occupa di misurare, pesare e catalogare tutto il “pescato”. Il core business dei pescatori rimane il pesce, ma in determinate giornate in cui escono per StC non lo possono pescare: ‘cacciano’ solo plastica e rifiuti. Accettare la pesca della plastica rientra nell’idea del marinaio di proteggere il mare, quindi l’iniziativa è stata generalmente ben vista”.

Mentre in Catalogna vi occupate di Posidonia oceanica, che è un’alga, giusto?
“Non è un’alga ma una pianta, la più importante che abbiamo nel Mediterraneo. Ospita dal 70 all’80% della fauna marina. Se la Posidonia venisse a mancare, morirebbe l’intero ecosistema del nostro bacino continentale. Purtroppo ha un tasso di crescita che oscilla tra il 7 e il 10% annuo; il lavoro principale riguarda la sua protezione. Basti pensare, per esempio, che ogni àncora gettata in mare rovina 1 km di fondale, per colpa del trascinamento. Al momento non ci occupiamo di ripiantumazione, solo di proteggere l’esistente, grazie all’appoggio con l’associazione locale Anèllides, che mappa la sua presenza sottomarina, impedendo quindi alle barche di fermarsi nei luoghi in cui è presente”.

Avete pensato di spostare la vostra attenzione dal mare a qualcos’altro, e quali saranno i prossimi passi di StC?
“Vorremmo espanderci anche alla cura dei fiumi e dei laghi: sempre e comunque acqua e blue economy. Abbiamo in cantiere due nuovi progetti in questo senso, mentre stiamo puntando dal punto di vista aziendale allo scale up, ampliando il bacino clienti e finanziatori per uscire non solo nel mercato europeo, ma possibilmente anche mondiale. Siamo per questo disponibili a sentire più voci e a raccogliere iniziative, e per questo vi invitiamo ad andare nella nostra pagina web o scrivere a info@seathechange.eu.

Alberto: stiamo, secondo te, come umanità intera, facendo dei passi in avanti verso un mondo più ecologico?
“A livello generale, sicuramente dei passi avanti sono stati fatti, in alcuni Paesi di più, in altri di meno. Come parere personale, avremmo bisogno di una classe politica più presente e impegnata verso la protezione del pianeta, che incentivasse le politiche e le aziende che si occupano di questi temi”.

Temi, in generale, riguardanti la sostenibilità ambientale, e nello specifico gli ecosistemi marini, che portino a soluzioni fattive e concrete nella lotta al cambiamento climatico, soprattutto per quanto riguarda la vita sotto i mari, così come cita il goal 14 dell’agenda 2030 dell’ONU sullo sviluppo sostenibile. Uno sviluppo da vedere anche attraverso il mare: un cambiamento marittimo, per una vita più equa, tra l’essere umano e l’ecosistema Terra.

Per vedere il video: https://youtu.be/1UOF7E8JC9s

di Damiano Martin