Sostenibilità. Transizione. Circolarità. Queste sono le parole del presente che ridisegnano la cornice di pensiero e di decisione di imprese e policy-maker. Parole certamente nuove da quelle che ci hanno accompagnato in questi ultimi trent’anni: innovazione, efficienza e imprenditorialità.
Si sta affermando un nuovo paradigma economico stimolato da un cambiamento di visione politica internazionale sul cambiamento climatico. Se negli anni ’70 quest’ultimo era percepito come un potenziale problema economico poiché denunciava le conseguenze ambientali del modello organizzativo della crescita economica industriale, a partire dalla metà degli anni ’90, con il protocollo di Kyoto, si realizza il primo importante negoziato internazionale per la riduzione dei gas serra attraverso la creazione di un mercato per lo scambio delle quote di emissione. Da quel momento, i negoziati successivi sono impegnati nel bilanciare le finalità di efficienza produttiva e di equità ambientale e sociale, operazione che richiede ingenti investimenti in tecnologie a basso impatto ambientale. Fiorisce la finanza sostenibile che assegna valore economico all’intensità energetica nella valutazione del rischio d’impresa. La de-carbonizzazione dell’economia non è più una minaccia bensì un’opportunità e il capitalismo si affaccia ad una fase espansiva grazie alla valorizzazione economica del cambiamento climatico: nuovi pattern di crescita, nuove organizzazioni d’impresa, nuovi prodotti, nuovi servizi. Quando le imprese vanno sul mercato dei capitali vengono valutate non solo rispetto al loro stato di salute economico-finanziario ma anche rispetto alla loro impronta ecologica, cioè la quantità di emissioni prodotte dalla loro produzione a partire dalla fase di approvvigionamento fino alla dismissione del prodotto.
La sostenibilità assume una dimensione economica e sfida il modello economico attuale – definito lineare – con una visione più ecologica della produzione e del consumo. È qui che entrano in gioco i termini transizione e circolarità. Imprenditori e manager abituati a prendere decisioni a partire esclusivamente dalla ricerca dell’efficienza si trovano a dover fare i conti con i flussi dell’energia, a dover calcolare il costo energetico delle loro scelte partendo dai limiti del pianeta di sopportare massicce estrazioni di materie prime, produzioni intensive per sfruttare economie di scala, prodotti con un ciclo di vita breve che diventano facilmente rifiuti da smaltire. L’economia circolare, se vogliamo, è la strada da percorrere per riportare i sistemi economici all’interno della capacità riproduttiva del pianeta e garantire così la sua conservazione per le generazioni future. Il pianeta non è una prateria infinita di risorse, diceva Kenneth Boulding, ma una navicella spaziale con risorse scarsissime, tanto scarse che dovremmo immaginarci razionati.
Ma come si fa a diventare circolari? Dove risiedono le opportunità economiche? Come devono cambiare i processi di scelta degli imprenditori e dei consumatori? Come cambia il rapporto con i fornitori? E con il mercato? Se fossimo in una sala a discuterne, le domande si moltiplicherebbero.
Innanzitutto, bisogna prendere atto che cambiano i modelli di business, tutti i modelli da quelli di fornitura fino a modelli di distribuzione. La creazione di valore economico non risiede più esclusivamente nel prodotto finale bensì nel saper estendere tale valore attraverso, ad esempio, la creazione di un servizio di accompagnamento (riparazione, manutenzione, ecc.), la condivisione di prodotti (sharing economy), la creazione di filiere corte di produzione dove gli scarti di un’impresa diventano materia prima per un’altra.
Questo, tuttavia, è solo un passo. La circolarità risiede in un lavoro ri-organizzativo costante per ridurre il consumo energetico in ogni singola attività della vita dell’impresa e trovare nuove soluzioni accettando il vincolo di essere in una navicella spaziale.
Non è facile e veloce la transizione da un sistema lineare ad uno sostenibile. Sicuramente, è necessario rivedere gli asset tecnologici e pianificare investimenti che rafforzino i principi di “circolarità aziendale”. Ma l’investimento più impegnativo è quello di creare una nuova cultura imprenditoriale. In un recente studio, svolto da un team di ricercatori dell’Istituto di Management della Scuola Sant’Anna di Pisa, sulla transizione all’economia circolare di circa 900 imprese manifatturiere italiane, è emerso che solo le imprese più consapevoli dei principi dell’economia circolare hanno saputo ripensare l’intera catena del valore coinvolgendo sia fornitori che consumatori e trarne così la migliore performance aziendale in termini di redditività. Diventare “impresa circolare” oggi è da pionieri ma tra non molto sarà una necessità per non uscire dal mercato.
Francesca Gambarotto
Professoressa di Economia Applicata presso FISSPA,
Università di Padova insegna economia circolare e sviluppo locale, economia regionale e dell’innovazione.