La quinta edizione del Sustainable Economy Forum organizzata dalla Fondazione San Patrignano e Confindustria con oltre 700 partecipanti
La sostenibilità è assieme una responsabilità individuale e una sfida collettiva, che non si può vincere con un approccio ideologico, come sta imponendo l’Ue, ma solo con la consapevolezza che servono decenni di tempo, salti tecnologici e ingenti investimenti sulle competenze per assicurare una transizione equa in grado di tenere insieme le 3 P: persone, pianeta e profitti. Si è snodata attorno a questi temi la quinta edizione del Sustainable Economy Forum organizzata dalla Fondazione San Patrignano e Confindustria, che ha visto confrontarsi, nella sede della comunità terapeutica riminese, una trentina di relatori del mondo della finanza, delle imprese, della ricerca e delle istituzioni, davanti a oltre 700 partecipanti.
«La sostenibilità non è solo ambientale ma anche sociale ed economica e va praticata e non solo raccontata, agendo con rapidità e con un progetto di breve periodo che abbia orizzonti e ricadute di medio-lungo termine con un approccio multisettoriale – interviene Letizia Moratti, co-fondatrice della Fondazione San Patrignano aprendo la giornata di lavori –. Mi dispiace vedere che l’Europa abbia preso decisioni che vanno contro la nostra economia e l’agricoltura non solo del nostro Paese ma di un continente per noi importantissimo come l’Africa. E mi piace invece ricordare che la stessa Comunità di San Patrignano rappresenta un esempio virtuoso di social business di successo, capace di combinare l’aspetto sociale di aiutare i giovani con quello economico di produrre beni e servizi di alta qualità».
«Il 2023 sarà un anno di transizione e ci aspetta una crescita molto modesta. L’industria ha retto fin qui guardando alla sostenibilità ambientale come terreno strategico su cui avanzare, ma serve una politica industriale organica a livello europeo che preservi gli obiettivi economici con quelli di sostenibilità ambientale. La transizione va implementata in neutralità tecnologica, senza scelte dirigiste, e coinvolgendo gli imprenditori», sottolinea Alberto Marenghi, vicepresidente Confindustria, invitando il Governo e le parti sociali a lavorare insieme «per arrivare a migliorare le previsioni per il 2024. Questo Paese non si può più permettere incentivi a pioggia. Serve dunque coraggio, ma anche equilibrio. Le nostre imprese, dalle multinazionali alle Pmi, sono pronte a queste sfide e consapevoli dell’importanza di fare squadra per consegnare alle generazioni future un pianeta più sostenibile ma anche l’orgoglio di essere il secondo Paese manifatturiero d’Europa e il settimo al mondo».
Sono cinque i temi paradigmatici che Claudia Parzani, presidente di Borsa Italiana, considera prioritari per affrontare la complessità di uno scenario di perma-crisi. «Primo: il successo, che non si può misurare solo in termini economici – spiega -. La capacità di avere persone felici e motivate in azienda è il secondo tema, che si lega a quello del purpose, del senso valoriale che i giovani cercano nel contesto sociale e aziendale; poi ci sono il tema della buona governance, fondamentale per lavorare sugli ESG, quello della valorizzazione capitale umano, dei talent e, infine, il nodo della leadership, che implica più capacità di ascolto e meno giudizio, soprattutto di fronte ai giovani».
È critica verso l’Europa ma ottimista sulla capacità di tenuta dell’industria italiana Francesca Mariotti, direttore generale di Confindustria: «I dati di produzione di febbraio non sono incoraggianti (-0,2% su gennaio, -2,3% sull’anno prima, ndr) ma anche nel mezzo di shock bellici e inflazionistici l’alta propensione all’export delle nostre imprese e la forte diversificazione di prodotti e filiere ci premiano rispetto ai competitor tedeschi. Le politiche europee ci rendono però fragili come Paese e come continente, soprattutto a fronte di risorse che non hanno uguali messe a disposizione da Usa e Cina per la transizione green».
di Ilaria Vesentini