Fariba ha diciassette anni e da due non esce di casa. A Kabul, la sua città, le scuole per ragazze sono chiuse dal 2021, quando i talebani hanno ripreso il potere. Suo padre, un tempo insegnante, ora fa il venditore ambulante, ma guadagna così poco che la famiglia spesso salta i pasti. Sua madre, invece, non esce da quando le hanno detto che non può più lavorare senza un uomo al fianco. E Fariba? Fariba sogna. Sogna di diventare medico, di poter curare le donne che, come sua madre, sono condannate a un silenzio forzato. Ma la realtà la schiaccia. Da mesi, la famiglia è in cerca di un marito per lei. E l’ha trovato, un uomo di trentanni più vecchio, con già due mogli. «Sarà la tua sicurezza» le ha detto la zia «almeno avrai un tetto». Fariba sa cosa significa sposarsi in Afghanistan: significa diventare una serva, rischiare la vita se osi dire di no. Nel 2023, più di 10.000 casi di violenza domestica sono stati denunciati nel Paese. Diecimila. E quanti quelli che non vengono denunciati? Quante ragazze come Fariba vengono frustate perché hanno riso troppo forte, o lapidate perché qualcuno ha detto che hanno alzato lo sguardo su un uomo? Intanto, in Europa si regalano mimose e si parla di parità di genere. Si fa un convegno sulle donne afghane e ci si sente a posto con la coscienza. Fariba, invece, aspetta. Aspetta il giorno in cui verrà venduta, aspetta la fine dei suoi sogni, aspetta che il mondo smetta di parlare e inizi a fare davvero qualcosa.

Mariama ha tredici anni e ha già il corpo segnato dalle cicatrici. Vive in un villaggio del Mali, un posto dove lacqua è più preziosa delloro e le ragazze valgono meno di un capretto. Ogni mattina si sveglia prima dellalba, cammina per quattro chilometri per riempire la tanica al pozzo e poi torna indietro sotto il sole cocente. Se cammina troppo lentamente, la frusta del patrigno è pronta ad accelerarla. Lanno scorso, sua sorella maggiore è morta di parto. Aveva quindici anni. Qui, l82% delle donne tra i 15 e i 49 anni ha subito mutilazioni genitali. Mariama non fa eccezione. A cinque anni, con una lama arrugginita, sotto un albero, l’hanno mutilata. Ricorda il dolore, il sangue, il volto di sua madre che diceva «Ora sei pura». A scuola non ci va più. Ha frequentato qualche mese, ma poi il capo villaggio ha deciso che era meglio risparmiare i soldi. Listruzione femminile, dicono, non serve. Serve prepararsi a essere una buona moglie, servire luomo, partorire figli, soffrire in silenzio. Nel mondo, si parla di donne forti, di leadership femminile, di empowerment. Si celebra l8 marzo con hashtag e campagne pubblicitarie. Si regalano mimose. Ma Mariama non sa cosa sia l8 marzo. Sa solo che domani, e il giorno dopo, e il giorno dopo ancora, dovrà portare lacqua e restare in silenzio. Perché lei non ha diritti, non ha voce. Ha solo un destino scritto da altri. E nessuno, da questa parte del mondo, ha davvero il coraggio di riscriverlo.

Neda ha ventidue anni e vive a Teheran. Non ha mai visto il mare. Non ha mai sentito il vento tra i capelli, perché da quando è nata il velo è stato il suo destino. Un pezzo di stoffa, dicono, ma per lei è una catena. Un anno fa, la sua migliore amica, Aylin, è stata arrestata dalla polizia morale. Camminava per strada senza hijab. Non ha mai fatto ritorno. «Morte naturale», hanno detto le autorità. Ma tutti sanno cosa significa quando una ragazza entra viva in una caserma e ne esce morta. Da allora, Neda non ha più paura. Esce ogni giorno senza velo, anche se sa che potrebbe essere la prossima. Nel 2022, il mondo ha pianto per Mahsa Amini, la ragazza uccisa per un velo fuori posto. Ma poi, come sempre, ha dimenticato. E in Iran le donne continuano a morire. Solo nellultimo anno, più di 500 donne sono state arrestate per essersi opposte alle leggi sul velo. Alcune sono sparite, altre sono tornate a casa con le ossa rotte. Oggi Neda balla. È lanniversario della morte di Aylin, e lei ha deciso di fare la cosa più proibita di tutte: ballare in strada. La musica le riempie la testa, i piedi si muovono leggeri. È viva, per ora. Ma sa che da un momento allaltro qualcuno la vedrà, qualcuno la denuncerà. La polizia arriverà, le sirene squarceranno laria. Neda chiude gli occhi. Sorride. Sa che forse questo è il suo ultimo ballo. Mentre in Occidente si accendono le luci viola per i diritti delle donne, mentre si scrivono post indignati, mentre si regalano mimose, in Iran una ragazza viene portata via. E il mondo, come sempre, tra un giorno, una settimana, un mese, la dimenticherà.

Eppure, non tutto è perduto. Per ogni Fariba venduta come una merce, c’è una donna afghana che studia di nascosto, che legge tra le mura di casa, che aspetta il giorno in cui potrà insegnare alle altre. Anche se il Ministero per la Promozione della Virtù e la Prevenzione del Vizio vieta ogni forma di istruzione femminile, ci sono scuole segrete che resistono, insegnanti che rischiano la vita per educare ragazze come Fariba. Nel 2023, un rapporto di Human Rights Watch ha denunciato la crescente emergenza educativa: oltre tre milioni di ragazze escluse dal sistema scolastico. Ma la resistenza continua. Per ogni Mariama privata della scuola, c’è una ragazza africana che scappa, che trova rifugio in unassociazione, che un giorno insegnerà alle bambine che listruzione è un diritto, non un lusso. Anche se in Mali il 49% delle ragazze si sposa prima dei 18 anni e l80% subisce mutilazioni genitali, esistono organizzazioni locali che lottano per cambiare le cose. La legge contro le FGM c’è, ma non viene applicata. Nel 2023, solo il 5% dei casi è stato perseguito, eppure adesso ci sono madri che iniziano a dire no per la prima volta. Per ogni Neda arrestata, ce n’è unaltra che continua a ballare, che non si arrende, che sa che il suo corpo non appartiene a nessun regime. Anche se in Iran più di 20.000 manifestanti sono stati arrestati dal 2022 e il numero delle esecuzioni capitali è aumentato del 75% in un anno, le proteste non si fermano. Le donne continuano a togliersi il velo, a sfidare i tribunali, a scrivere sui muri: Donna, vita, libertà”.

Il mondo è pieno di ipocrisia, di slogan vuoti, di mimose regalate per lavarsi la coscienza. Ma è anche pieno di donne che lottano. Che sfidano il buio con una candela accesa. Che non aspettano di essere salvate, ma si salvano da sole. Ormai lo abbiamo capito, la speranza non è nelle leggi che i governi non faranno mai. Non è nei post social che domani saranno dimenticati. La speranza è nei piccoli atti di coraggio quotidiano. È in quella madre che insegna alla figlia a leggere anche se è vietato. È in quella ragazzina che si rifiuta di abbassare la testa. È in quella donna che, anche quando sa che la uccideranno, esce comunque per strada a ballare. Le catene non cadono da sole. Ma c’è sempre qualcuno che inizia a spezzarle. E oggi l’augurio e’ che, prima o poi, cadano tutte.

 

di Isabella Zotti Minici